Versi e versacci in montagna, di Lionello Ricci.
Val Grande di Vezza
Non è ancor l’alba, e l’ora matutina
Nel cielo accende la più chiara stella
Che si specchia nel bianco della brina
Del cui fulgore il prato si ammantella.
Fuor dalle molli coltri spingo il piede
Che di vita lassù già il bosco freme,
E ‘l cervo maschio, ancor che non si vede,
De la pigra sua corte alto si geme.
Brilla già il sole quando sulla balza
Poniamo il piede dopo la salita.
Novella per le rupi si rimbalza
L’eco del verso della foia antica.
Oscura e misteriosa qui c’incalza,
L’ansia che spinge a rinnovar la vita.
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Il cervo
Pizzi di nebbie giù nella vallata
Biancheggian misteriosi da lontano;
Bianca di neve un’erta dirupata
Innalza al cielo un’artigliata mano.
Volteggia su nel cielo coppia alata
Emettendo uno stridulo richiamo;
Più vicini i camosci sospettosi
Non san s’esser più pavidi o curiosi.
Colma d’erbe e di fior s’apre una conca
Qui lesti indirizziam lo stanco passo.
Qui con affanno e con la voce monca
T’invito a riposare il corpo lasso.
Su morbido cespuglio appoggi l’anca
La schiena poggi a ben tornito masso.
Quivi, dinnanzi alla natura antica,
Beve lo Spirto ad una fonte amica.
Corron le nubi bianche su nel cielo
Dando vita a fantastiche strutture;
Corre il pensier e avvolge nel suo telo
Ancora più fantastiche figure.
E d’improvviso ci si rizza il pelo
E il core si riempie di paure.
Il fiero palco all’aere tutto innalza
Un cervo fulvo che fra noi si balza.
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Le fantastiche creature
Dove la selva si fa più fitta e scura
Strane creature fan stormir le fronde:
Senti passare un soffio di paura
Sulla fronte e nel cuore, e non sai d’onde.
Orchi, streghe, folletti ed i silvani
Elfi si celan sotto strana spoglia.
Li puoi cercar con gli occhi e con le mani:
Li vedi sol se questa e la lor voglia.
Di sasso o legno copron le lor forme
Di fronda ed erba e, qualche volta, neve.
Inutil è cercar di questi l’orme
Il passo loro è come il vento lieve.
Gli occhi e l’alma del bimbo che in noi dorme
Ciascun, che vuol vederli, svegliar deve.
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Natale
A chi tocca far l’Albero quest’anno?
Silenziosi gli abeti spiano il boscaiolo.
Il Prescelto se ne va nella carretta.
Torna a vivere il bosco.
Stormiscono le fronde
Liete dello scampato pericolo.
Ma la notte, implacabile e greve
Scende la neve sui rami impreparati.
A cento a cento giacciono
Con le radici al vento
Schiantati
In attesa del tarlo.
Splendente di luci
Il Prescelto svetta
Nella piazza del paese.
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il Pino di Ravenna
La selva di Matelda tu ispirasti
Al Poeta divin che ti trascorse.
Quivi a lei, che ai fioretti gli occhi casti
volgea cantando, il verso vita porse.
Brillan le baionette, splende il bianco
Delle divise alla spietata caccia.
Anita fugge allo spietato branco
Ma non v’è fronda a lei che schermo faccia.
Altri versi ora a te vanno sciogliendo
Barbari rimatori, in metro o sciolti.
Tra i tronchi nudi alcun ti van prendendo
Le misure con metri dritti o torti.
Così cadesti, e non vale rammendo
Che alle glorie di un tempo ti riporti.
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La vida es sueno
Il giorno trasciniamo con fatica
Un sogno che ci è dato come pena.
A notte ri-iniziam la vera vita
Quando del corpo si scioglie la catena:
Cessa di faticare la formica
E la cicala canta a voce piena.
Nei lor giardini in fior stanno le fate
Giocando con le bimbe addormentate.
Canta l’acqua del rio, tra l’erba e il fiore
Il sole splende sulle dolci chiome:
La vista corre, senza alcun timore
E d’ogni vero ci si mostra il nome.
Allor più forte si rivela amore
Ch’al vero e al bello drizzerà il timone.
A te venga danzando Primavera
E la dolcezza sbocci ancor stasera.
E se di legger ti sei dato pena
Ti chiedo scusa per la scarsa vena.
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Il Castagno ed il Faggio
Vecchio, scuro e nodoso sta il castagno
Nelle radure e ai margini del bosco;
Di sudore e fatica è buon compagno:
Forza e saggezza in lui certo conosco.
Ma come brilla e svetta fiero al sole
Il nobil faggio, delle piante il bello;
D’autunno lo ammiriam, senza parole,
Bianco nel tronco e rosso nel cappello.
Forza tranquilla a noi ci rappresentan
Gli enormi tronchi, lisci come il panno
L’altezza e tal che l’occhio si spaventa
Quando il viso nel ciel spinger ci fanno.
Il tempo sotto a loro si rallenta
Quando maestà e grandezza al cor ci danno.
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A Campo di Brenzone
Tra i muri di pietra e i tronchi contorti
Di antichi ulivi dall’argentea fronda
Corre un sentiero sotto i contrafforti
Che eresse il contadin, alti sull’onda.
Dolce il sentiero sale verso Campo:
Uno scrigno di case e un verde poggio.
I ruderi di piante han ricco manto:
Di torri e mura il luogo qui fa sfoggio.
Nella corte di Campo sta una mensa,
Scolpita in legno, che ha sfidato gli anni,
Quivi la guida provvida si pensa
Di torre del cammin tutti gli affanni:
La festa e l’allegria qui si fa densa
Seduti su massicci e gravi scanni.
Tra danze, canti, carole e ghirlande
Passiamo quivi il tempo tra festini,
Le ninfe ci imbandiscono vivande:
Ed empiono di grappe i bicchierini.
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Pizzo dei Tre Signori
Ricordi la salita al Tre Signori
Con gli stambecchi in branco a salutare
Guardavam l’erta da sotto, gli occhi fuori
Per lo spavento dell’arrampicare.
Su per la crina cruda, un lungo assaggio
Poi la cresta all’imbocco al caminetto
Neve ghiacciata, angusto era il passaggio
Ma in breve uscimmo fuori dallo stretto.
Sulla parete il tratto catenato
Facile parve dopo quel penare
Fino alla Croce di vetta ci ha portato.
Qui, tra la folla, infine a riposare.
Era dall’altro lato facil gita
Ma noi tornammo giù per la salita.
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La presa del Coleazzo
Per tanto tempo ti avevam sognato
O Coleazzo, in tanti giri attorno.
Un dì, giunti allo Stol, abbiam mollato
Per un malor con rabbia e con gran scorno.
Siamo tornati, e su pel canalino
Rotto di sassi, mobile e cattivo
Siamo sbucati sotto quel catino
Tra la nebbia e il grigior del giorno estivo.
Poi la parete, rotta ed intricata
Di cenge e passerelle trasversali
Fino alla Croce, torta e avvoltolata.
Qui siamo giunti: guarda come vali
Poi la discesa attenta fra quei sassi
Che volavan da basso sotto i passi.
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La Plem
Dal Tonolini all’alba a presti passi
Per la valle petrosa e desolata
Si arriva alla parete, fra quei massi
E su diritti, per la via ferrata.
Giungiamo al passo detto del Cristallo
Giriamo a manca e costeggiam la cresta
Per lo sfasciume tutto bianco e giallo
Fino al canal che sal sopra la testa.
Una stambecca piscia su al goletto
Qui a destra proseguiamo sui lastroni
Per cenge va il cammin, esposto e stretto
Fino a un pendio coperto da sassoni.
Una seconda stambecca qui ci aspetta.
Ma noi, d’un balzo, siamo su alla vetta.
Di fronte a noi nel sol, protervo e bello
Terribile s’innalza l’Adamello.
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L’Aviolo
Partimmo dalla curva sopra Mu
Fino a trovare l’imbocco del sentiero
“Silvio Boninchi” che ci porta su
per un bel bosco senza alcun pensiero.
Giungemmo alla valletta sconsolata
Indi alla cascatella, dove inizia
L’erta che erta si sale alla ferrata
Che par, dopo la rampa, una delizia.
La morena sospesa poi ci porta
All’ultima catena, su in parete
Quindi il canal, che sal per la più corta
Fra i massi da salire senza rete!
Alla Croce di legn scopriam la testa.
Sotto, a vertigo, c’è il bivacco Festa.
E’ questo un monte lungo e faticoso
Ma di fascino pieno e avventuroso.
Ben cinque volte vi ci son salito
E nello scender mi son rotto un dito…
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monte Listino
Dall’albergo Blumon muoviamo i passi
E su per quella valle mai finita
Tutta erta e piane, in mezzo a tronchi e massi
Che la pazienza pare infin smarrita.
Gunti alla gran spianata, una sorgente
Ci sembra porre alla fatica fine
Ma non abbiam finito, poni mente,
Che ancor c’è da salire alle rovine.
E di là, per traverso, si va al passo
Del Termin, che non termina per nulla
Che spingere dobbiamo il corpo lasso
Su per la cresta ancor, sassosa e brulla
Saliam tra le trincee e tra la rovina
Fin sulla vetta a toccar la Madonnina.
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Su questa vetta un dì piantai una Croce
Che un manigoldo ruppe e gettò via.
Lo perdoni il Signor, che a chi a noi nuoce
perdonare ci invita, e così sia.
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Cornone di Blumone
Per il Blumon si va alla Corna Bianca
La dove il terreno pare il mare.
Per la via lastricata non s’arranca
Come il vecchio sentier facea penare.
Fino alla Vacca vai che non ti stanca
L’andar per quella strada militare.
Il Tita Secchi ha soppiantato il Rosa
E qui il viandante un poco si riposa.
Fino al goletto poi potrai salire
Per quella strada fatta dai soldati.
Quivi però si cambia, e un po’ d’ardire
Ci vuol per gli sfasciumi ammonticchiati
Un passaggino poi ti fa soffrire
Che in aderenza gli altri son passati.
Ma presto poi si sbuca sul costone
Ed or t’attende un lungo traversone.
Alla fin del traverso, la finestra
Proprio sotto la vetta ti scodella
Qui ci vuo man, che sia sinistra o destra
Se vuoi salir per l’erta dura e bella
Di salto in salto giungi sulla cresta.
E qui riposi la tua gamba stracca
Che sotto splende il lago della Vacca.
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Il Blumone è il monte dei Bresciani
Dopo il Guglielmo, dove fai le ossa.
Quando sei pronto a andare a quattro mani,
Vieni alla Vacca per provar la scossa.
Dinnanzi s’erge, con i suoi colori
Terribil con il verde, il rosso e il nero.
Qui un poco ti si spengono i bollori
Che del salir non pare esser sentiero.
Quando al fin del giro giungi in vetta
E sulla Croce puoi stender le mani
Allor capisci ciò che ancor ti aspetta
Che di salire avrai sempre un domani.
Da qui ti si spalanca l’Adamello
Ed or ti tocca il Re, quel di Castello.
Monte Telenek
Il Telenek, tra i monti, è un eremita:
Non vi è sentiero che ti porti sopra.
Chi c’è andato, li conti sulle dita.
E per andar ci vuol la via tu scopra.
Devi per prima scavalcar l’Aprica,
Al lago di Belviso indi salire.
Da lì a quel di Pisa, con fatica:
E’ lunga l’erta e ti farà soffrire.
Giunto a quel laghicello, un canalone
D’erba coperto, ma diritto in piedi
Devi salir, con ansia e con magone
Di scivolar di sotto, dove vedi.
Infin per costa dirupata e netta
Sbuchi alla Croce, e ti godrai la vetta.
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Questo monte ha un nome da cruccaglia;
D’un turco forse, non d’uno cristiano.
E se ci vuoi salire, quanto vaglia
Mostrar la gamba devi, e ancor la mano.
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Monte Sellero
Al Sellero si sale per due vie
Ma la più breve viene dal Vivione.
Dopo le curve sì scortesi e rie
Trovi lo spiazzo ai piedi del vallone.
Dopo l’ultima malga inizia il brutto
Che si deve salir erto sentiero
E non è nulla se lo fai da asciutto,
Che noi ci siamo andati a cielo nero.
Se giungi al passo, va sottil la cresta
E piana, e accidentata, sotto al monte.
Qui le catene ti stan sopra la testa
Stendi le mani e affrontale di fronte.
Con acqua e neve qui lo abbiam salito
Fin sulla vetta a goder dell’infinito.
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Monte Campellio
Sul Campellio salii d’anni ancor breve
E mi rimase negli occhi da lassù
Lo stupore del blu e della neve
Del lago d’Avolo che brillava giù
Son tornato lassù tant’anni dopo
Non come allor, che avevo arrampicato.
Ai Laghi della Vecchia andar t’è duopo
E da lì puoi salir dov’è franato.
Quando sei giunto a cavallo del crestone
Sali tranquil, fin che sarai alla grotta.
Qui il sentierin s’impenna, e saran buone
Le mani per tener dritta la rotta.
Quando sei su, dinnanzi hai l’Adamello
Dall’altra parte il Re, quel di Castello.
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Cima Laione
Quante volte salimmo al Laione
Con gli sci per quell’ultima china
Venivamo dal passo Blumone
A trovar la Madonna su in cima.
Arrivati che un poco si spiana
Si toglievan gli sci a traversare
Quel passaggio sul filo di lana
Per poter la Madonna toccare.
Leggevamo il cartello: “Oh Colomba
del Signore” stai attenta per noi.
Qui la neve un pochetto sprofonda.
Metti tu la tua mano, se puoi…
Or la statua l’han messa davanti.
Te la trovi alla prima fermata
Così possono toccarla più tanti.
Ma la gioia d’allora è scemata.
Noi però siamo andati lo stesso
A toccar quella base, ormai spoglia
Che lassù non ci vai troppo spesso
Se ci sei, vuoi cavarti la voglia.
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Re di Castello
Per il Re di Castello la più breve
Vien su dal lago e poi da quel di Campo.
La più bella però, anche se greve
E quella da Dois per Maria e Franco.
Tutte le ho fatte e tutte le ho sudate
Con gli sci, sulla neve, o tra i pietroni.
Che ci venga d’inverno o ver d’estate
Comunque sempre occorrono i ramponi.
Ma da lassù se guardi a settentrione
Vedi il Carè, e sotto splende il lago.
Ti giri indietro e là vedi il Blumone
Che d’ogni tua fatica ti fa pago.
Oh monte che ci hai dato tanta ebbrezza!
Oh monte della nostra giovinezza!