de Anima: l’autonomia della legge morale

Un secondo ritornello delle stornellate laiche, continuamente ripetuto, è quello della autonomia assoluta della legge morale, cioè della sua origine totalmente umana: dopo i secoli bui del predominio della superstizione e dei preti, l’uomo si è finalmente liberato ed è ora capace di camminare sulle proprie gambe, decidendo da sé cosa è bene e cosa è male. Controcanto: se non ci fossero le religioni, non ci sarebbero le guerre.

Anche qui si resta stupefatti per l’ignoranza, la presunzione e la superficialità che si nascondono dietro queste dichiarazioni.

Infatti, 2000 anni di pensiero umano hanno già ampiamente dibattuto su queste cose, e argomentazioni di vario calibro sono già state spese, in favore o contro.

Non si possono ripetere argomenti cui sono state opposte controargomentazioni decisive, senza sentirsi almeno in dovere di ribattere o confutare queste ultime.

Invece le tesi summenzionate vengono spiattellate pari pari, come se fossero oro colato della gettata del mattino, e non avanzi putrefatti di argomenti per lo più settecenteschi, rivelatisi subito a tal punto falsi da venir presto dimenticati o sottaciuti dal pensiero filosofico vero (cioè non quello sostenuto dal numero dei credenti, come marxismo e positivismo, ma dalla profondità dei ragionamenti).

A questo modo di ragionare si attagliano perfettamente due sprezzanti giudizi di Hegel:

Sull’altro versante abbiamo visto invece la superficialità spacciare l’assenza di pensiero per scetticismo accorto e consapevole e per criticismo della modestia della ragione, e abbiamo assistito all’incremento della sua presunzione e vanità in proporzione alla sua vuotezza di idee.

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Prefaz. alla 1° ediz.,  Rusconi, Milano 1996, p. 35.

 

…le universalità e astrazioni dell’acqua paludosa e priva di vita dell’intelletto razionalistico non ammettono l’elemento specifico di un contenuto e di una dottrina cristiana intimamente determinati e perfezionati.

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Prefaz. alla 3° ediz.,  Rusconi, Milano 1996, p. 81.

 

Chi oggi volesse sostenere che la terra è piatta, non potrebbe farlo con gli stessi argomenti del 300 a.c., ma dovrebbe prima rispondere a tutte le obiezioni che, da Eratostene in poi, hanno negato questa tesi.

Così, chi sostiene l’autonomia della morale umana, lo può fare solo se prima contesta le obiezioni di base che il Pensiero umano ha formulato contro questa idea.

 

La guerra è dovuta alla religione?

Partendo dalla seconda tesi, la più debole ed evidentemente falsa, ricordiamo che questa fu sostenuta dagli Illuministi, fino a quando il Terrore e le guerre napoleoniche ne dimostrarono l’assoluta falsità. Gli illuminati pacifisti, appena al potere, dopo aver tagliato le teste dei loro nemici, se le tagliarono tra di loro, in nome della Dea Ragione e della Laicità. Poi, dopo aver fucilato e scannato tutti coloro che non ballavano abbastanza gioiosamente intorno agli alberi della libertà, mossero guerre sanguinosissime all’intera Europa, allo scopo di porre sui troni la numerosissima parentela di Napoleone.

Dopo di allora, il 1800, sconvolto da guerre di origine economica e nazionale, ed il 1900, che vide due volte l’Europa rasa al suolo in nome prima della Nazione, e poi dell’Ideologia, tolsero ogni validità a questa affermazione.

 

L’uomo può essere la sola fonte della propria morale? (*)

(*) Uso qui la parola morale ( che riguarda il comportamento verso se stessi) anche nel significato di etica (che si riferisce al comportamento verso gli altri), dato che entrambe derivano dalla determinazione del Bene e del Giusto.

Questa tesi dura giusto il tempo di accorgersi di quante e quanto diverse morali ed etiche sono state predicate in questi due secoli, da quando cioè si è preteso di sganciare la morale da una realtà metafisica che fosse garante della sua universalità.

E poco male se le morali fossero state differenti, ma rispettose le une delle altre.

Invece esse predicavano, per lo più, lo sterminio, o, per lo meno, l’azzittimento violento delle tesi e delle morali altrui. Il risultato è stato il relativismo etico e il pensiero debole, cioè la tesi secondo la quale il pensiero umano è incapace di verità assolute (proprio quello che si voleva negare inizialmente, con l’adorazione della Dea Ragione).

Ma il relativismo non sa rispondere al problema che nasce quando il diverso non è relativista, ma vuole semplicemente la tua morte.

Io non credo in Dio, eppure non uccido e non rubo”. Questa è una delle frasi che ci si sente opporre da questi argomentatori. Ma si pongono subito due obiezioni:

  • perché mi dici che non uccidi e non rubi? Perché non che non mangi salame e non vai a pescare? In realtà questa frase già rivela il senso dell’assolutezza della legge morale: chi la pronuncia dà per scontato che l’interlocutore creda anch’egli che le due cose menzionate siano Male.
  • Ma cosa rispondi a chi ti dice, ad esempio: ”Io, invece, rubo e uccido solo chi oppone resistenza” ? Come lo convinci che questo è male, e come ti arroghi il diritto di punirlo?

 

Il problema di fondo

Il problema sta nel fatto che, se a decidere cosa è bene o male è l’uomo, l’uomo stesso può cambiare in ogni momento questi parametri del suo agire. E ci si deve porre questa domanda:

Cosa significa che è l’uomo che decide cosa è bene e cosa è male? Quale di queste tre alternative è quella valida?:

  • Ognuno decide per sé
  • Qualcuno decide per tutti
  • Decide la maggioranza

Tutte e tre le risposte sono insoddisfacenti: nessuno può decidere autonomamente, quando il suo comportamento riguarda anche gli altri; nessuno può decidere per gli altri; neppure la maggioranza può stabilire che qualcuno possa subire torto ingiustamente. Questo è fondamentale per la nostra civiltà liberale, per la quale il Bene ed il Giusto preesistono alle decisioni anche della maggioranza.

In particolare, è alla base della nostra civiltà il credere all’esistenza di diritti inalienabili dell’uomo: nessuno, neppure la maggioranza, può sopprimerli.

E chi, dunque, può arrogarsi l’autorità o la competenza di attribuire o negare questi diritti?

 

Utilitarismo e sentimentalismo

Il tentativo di basare la morale e l’etica umana su fattori puramente razionali ed oggettivi ha il suo punto culminante nell’ottocento, con il pensiero positivista.

La via di uscita viene prima trovata nel criterio dell’utilità, il cui massimo propugnatore fu Bentham, che trovò la chiave dell’etica nella realizzazione della massima felicità del maggior numero di persone possibili. In modo assolutamente coerente, egli fu acceso negatore dell’esistenza di diritti naturali: i diritti esistono solo in quanto utili.

La tesi di Bentham risultò poco soddisfacente, in quanto l’utile deve essere definito dalle specificazioni a chi e per che cosa, che ripropongono il tema del Bene, che si credeva di aver superato, mentre la felicità ognuno la cerca in cose diverse, ma soprattutto perchè apriva la porta ai sostenitori dell’egoismo come fonte di eticità (infatti, utile per tutti lo diceva Bentham, ma con che autorità? E’ più semplice dire per me).  Si credette allora di trovare una diversa o concorrente soluzione, sostenendo che è necessario per la felicità dell’uomo che anche il suo prossimo sia felice, a causa di un sentimento naturale di solidarietà esistente in ogni uomo. Così, ad esempio, J.S.Mill sostenne che la vera felicità consiste nel rendere felice il proprio prossimo.

Questo è sicuramente bello, ma non ci si può fondare nulla, quando ci si rende conto di quante persone, invece, del loro prossimo non sanno che farsene: a queste persone, di quale sentimento naturale si va raccontando?

O il Bene ha un fondamento oggettivo, in qualche cosa che supera la decisione umana, o esso è in balia delle singole opinioni e decisioni di ciascun uomo.

 

I tragici risultati delle morali autonome

L’aver sganciato l’idea di Bene da fondamenti metafisici, e l’averla affidata alla libera decisione dell’uomo ebbe presto conseguenze disastrose: chi pose il Bene nella grandezza della Patria, chi nel potere della Classe, chi nel dominio della Razza. Ognuna di queste astrazioni assunse il valore assoluto che prima si attribuiva a Dio, ed i risultati furono sotto gli occhi di tutti. I laici ad oltranza continuano a non capire, od a fingere di non capire, che, una volta tolta la cogenza sovrannaturale dell’imperativo morale, ogni uomo si sente libero di porre il Bene dove vuole, e colui che non si sentirà frenato da scrupoli umanitari, potrà forzare gli altri con lo spregiudicato uso della violenza. Così è stato, e così minaccia di essere ancora.

 

La soluzione tradizionale occidentale e cristiana

La soluzione tradizionale occidentale, precristiana e poi confermata dal cristianesimo, è quella che esiste un Bene oggettivo, cui gli uomini e le Leggi devono tendere.

Platone, più di ogni altro, parla del Bene come dell’Idea archetipa (Bene, Bello, Uno); ed Aristotele afferma che esiste un Giusto naturale, in contrapposizione ad un Giusto solo legale.

Tuttavia la legge vuole essere scoperta della verità: e se gli uomini, come ci sembra, non osservano sempre le stesse leggi, vuol dire che non sempre possono trovare questa verità che vuole la legge…Orsù, tu credi ingiuste le cose giuste e giuste le ingiuste, o giuste le giuste e ingiuste le ingiuste? 

Platone, Minosse, 315 b, e, Laterza, Bari 1947, pp. 114-115.

 

Del giusto in senso politico, poi, ci sono due specie, quella naturale e quella legale: è naturale il giusto che ha dovunque la stessa validità, e non dipende dal fatto che venga o non venga riconosciuto; legale, invece, è quello che originariamente è affatto indifferente che sia in un modo o che sia in un altro, ma che non è indifferente una volta che sia stato stabilito.

 Aristotele, Etica Nicomachea, V, 7, Rusconi, Milano 984, p. 209.

 

E Plotino, altro pensatore non cristiano:

Il bene e la bellezza dell’anima consistono nel rassomigliare a Dio, poiché da Lui derivano il Bello e la natura essenziale degli esseri.

 Plotino, Enneadi, I, 6, 6.

 

Il cristianesimo riprende questa idea: Dio è la fonte del Bene, che corrisponde alla natura divina (Ragione ed Amore): il Bene è quindi l’unione armonica di Ragione ed Amore. Ogni uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, ha la capacità di intendere cosa è Bene e cosa è Male, ed ha una Volontà libera di scegliere tra l’uno e l’altro.

 

..ut omnis rationalis et intellectualis creatura, in qua homo rectissime dicitur factus ad immaginem et similitudinem dei. Non enim aliter incommutabilem veritatem posset mente conspicere.

(..come tutte le creature razionali ed intellettuali, tra le quali l’uomo, che è detto assai giustamente fatto ad immagine e somiglianza di Dio: altrimenti non potrebbe vedere con la mente l’immutabile verità.)

Agostino, De vera religione, XLIV, 82, Rusconi, Milano 1997, p. 145.

 

Lume v’è dato a bene ed a malizia

E libero voler..

Dante, Purgatorio, XVI, 75.

 

 

Inoltre, l’essere immagine di Dio, oggetto del Suo Amore, rende l’uomo titolare di diritti imprescrittibili ed inalienabili; ecco come Hegel descrive questo punto:

Questa Idea è venuta al mondo con il Cristianesimo, secondo il quale è l’individuo in quanto tale ad avere un valore infinito: l’uomo, essendo oggetto e fine dell’amore di Dio, è destinato ad avere il suo rapporto assoluto con Dio come Spirito e a far dimorare entro sé questo Spirito. In altre parole l’uomo è in sé destinato alla Libertà suprema.

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 482Rusconi, Milano 1996, p. 787.

 

Infine, il liberalesimo settecentesco teorizza l’esistenza di diritti naturali dell’uomo, innati in quanto voluti dal Creatore stesso: la dichiarazione di Indipendenza americana attribuisce direttamente a Dio l’aver dotato l’uomo di diritti naturali:

Noi riteniamo evidenti di per se stesse queste verità, che tutti gli Uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di certi inalienabili diritti, tra cui Vita, Libertà e Perseguimento della Felicità.

Dalla Dichiarazione di Indipendenza Americana, 4 giugno 1776.

Quella francese, in ambiente già contaminato dal pensiero ateo, non vuole comunque prescindere dall’accordo divino, che invoca e dichiara esplicitamente:

I Rappresentanti del Popolo Francese costituiti in Assemblea Nazionale, … hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; …

In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:..

Dalla  Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, Parigi, 26 agosto 1789.

 

Dobbiamo purtroppo riconoscere che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948, non fa più riferimento ad alcuna realtà metafisica a sostegno di tali diritti, ma si limita ad alcuni “Considerato che ”, legati tutti a presupposti a priori ed indimostrati, che possono in ogni momento venir negati da chiunque, come in effetti fa la maggior parte degli Stati e dei Governi firmatari di tale dichiarazione, che non è altro che uno scimmiottamento delle Dichiarazioni originali, priva dell’impianto teorico che sosteneva quelle.

 

Le tesi laiche ed il debole sostegno di Kant

In contrapposizione alla tesi organica tradizionale, oggi sentiamo le opinioni più disparate, unite unicamente dalla debolezza dell’impianto logico e dalla impossibilità di fondarvi nulla di duraturo e di assoluto, che preservi i diritti ed i valori intangibili della Persona: chi pone l’etica nella legalità, chi nella morale comune, chi in una inspiegabile ed inspiegata coscienza individuale. Questi ultimi, i più vicini alla tesi tradizionale, fanno spesso riferimento a Kant, il grande sostenitore della esistenza di un imperativo etico universale in ciascuno di noi: ma Kant, nella Critica della Ragion Pratica, afferma anche che la necessità di spiegare logicamente la Legge morale, impone di credere all’esistenza di Dio e all’immortalità dell’anima, altrimenti l’imperativo morale, che ciascuno di noi sente come costrizione al suo volere, sarebbe solo una farneticazione senza senso.

I sostenitori di Kant dimenticano (forse perché non l’hanno mai letto) questa parte del pensiero kantiano, che occupa più della metà del libro.

Nel pensiero di Kant, l’imperativo morale non è autonomo rispetto al mondo spirituale e noumenico, ma rispetto ai condizionamenti fisici del mondo fenomenico:

…abbiamo visto che tutto ciò che si presenta come oggetto della volontà prima della legge morale… determina anzitutto ciò che è buono in sé ed assolutamente, e fonda la massima di una volontà pura, che sola è buona sotto ogni rispetto.

 I. Kant, Critica della Ragion Pratica, 131, Laterza, Bari 1997, p. 161.

 

Del resto, che l’imperativo morale non provenga dall’uomo, è provato dal fatto, che Kant sottolinea, che esso si presenta all’uomo come una coercizione, che lo spinge a fare ciò che non vorrebbe ed a non fare ciò che vorrebbe.

Dunque la legge morale umilia inevitabilmente ogni uomo, quando esso  paragoni con tale legge la tendenza sensibile della sua natura.

 I. Kant, Critica della Ragion Pratica, 132, Laterza, Bari 1997, p. 163.

 

 

Ed ecco il passo decisivo con cui Kant spiazza materialisti ed atei:

Ora, siccome il promuovimento del sommo bene… è un oggetto necessario a priori della nostra volontà ed è connesso inseparabilmente con la legge morale, così l’impossibilità di questo promuovimento deve anche dimostrare la falsità di questa legge.

Dunque, se il sommo bene è impossibile secondo regole pratiche, anche la legge morale, che prescrive di promuoverlo, dev’essere fantastica e ordinata a fini vani e immaginari e, quindi, in sé falsa.

I. Kant, Critica della Ragion Pratica, 205, Laterza, Bari 1997, p. 251.

 

Kant prosegue dimostrando che la realizzabilità del sommo bene presuppone l’esistenza di Dio, la libertà e l’immortalità dell’anima.

…la tendenza della natura umana – percepibile da ogni uomo – a non potersi mai appagare di ciò che è temporale (poiché questo è insufficiente per i disegni della sua intera destinazione) ha dovuto da sé sola suscitare la speranza di una vita futura; …una semplice esposizione chiara dei doveri, in contrasto con tutte le pretese degli istinti, ha dovuto da sé sola suscitare la coscienza della libertà; infine,…l’ordine mirabile, la bellezza e la previdenza che traspirano ovunque nella natura, hanno dovuto da soli suscitare la fede in un saggio e grande autore del mondo, una convinzione che si diffonde…in quanto è basata su fondamenti razionali.

I. Kant, Critica della Ragion pura, Prefazione alla 2° edizione, Einaudi, Torino 1957,  pp. 34-35.

 

…la fede in Dio e in un altro mondo è talmente intessuta col mio sentimento morale, che io non ho da preoccuparmi che la prima possa mai essermi strappata, nella stessa misura in cui non corro pericolo di perdere il secondo.

I. Kant, Critica della Ragion pura, II, cap.II, sez.III, 537,  Einaudi, Torino 1957,  p. 804.

 

Ed ecco indicati i veri nemici che egli intende combattere:

…solo mediante la Critica è possibile rescindere alla radice il materialismo, il determinismo, l’ateismo, l’incredulità dei liberi pensatori…

 I. Kant, Critica della Ragion pura, Prefazione alla 2° edizione, Einaudi, Torino 1957,  p. 36.

Giudizi sull’ateismo sedicente morale

Ecco come Chateaubriand tratta gli atei che si dicono morali:

Vi sono due specie di atei ben distinte: i primi, coerenti nei loro principi, proclamano senza esitare che non vi è alcun Dio e, di conseguenza, nessuna differenza tra il bene ed il male;… Gli altri sono i galantuomini dell’ateismo, gli ipocriti dell’incredulità; personaggi assurdi, che, con falsa soavità, arriverebbero a tutti gli eccessi per sostenere la loro teoria: vi chiamerebbero fratel mio nell’atto stesso di scannarvi; hanno costantemente in bocca la morale e l’umanità; e sono tre volte più malvagi, perché uniscono ai vizi dell’ateo l’intolleranza del settario e l’amor proprio dell’autore.

F.R. de Chateaubriand, Genio del Cristianesimo, I, VI, V, vol. I, UTET, Torino 1949,  p. 220.

Con una finissima analisi psicologica, Platone individua perfettamente il punto debole di chi non fonda la sua morale su valori assoluti.

Di coloro che non credono che:

…assomigliare a Dio è acquistare giustizia e santità, e insieme sapienza…

egli dice:

…se non ché una cosa capita loro, che è questa: che se debbano in una conversazione privata dar ragione di cose che spregiano e accogliere le ragioni altrui, e vogliono per un certo tempo tener testa animosamente alla disputa e non abbandonarla disanimati; ecco che allora, mio caro, finiscono col trovarsi in una condizione stranissima, non essendo più soddisfatti nemmeno essi stessi di quello che dicono, e tutta quella loro eloquenza, non so come, si spegne, e appariscono né più né meno che fanciulli.

Platone, Teeteto, 176-177, Laterza, Bari 1950, pp. 321-322.

 

Anche Hegel fa notare che il materialismo fa decadere l’oggettività dei valori etici e morali:

Da ciò deriva una importante conseguenza: in questa modalità empirica, le determinazioni e le leggi giuridiche ed etiche, come pure il contenuto della Religione, appaiono come qualche cosa di accidentale, e quindi si rinuncia alla loro oggettività e intima verità.

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 39Rusconi, Milano 1996, pp. 155-156.

 

…lo Stato è lo sviluppo e la realizzazione dell’Eticità, ma la sostanzialità della stessa Eticità e dello Stato è la Religione.

 G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 552Rusconi, Milano 1996, p. 881.

 

D’altro canto, essere materialisti significa credere che l’unica realtà sia la materia: che posto possono avere in questa concezione i valori dello spirito? Questi non sono altro che stati fisici delle nostre cellule neurali. Pertanto Bene e Giusto non sono che fantasie della mente umana, che non hanno alcun corrispettivo nella Realtà vera, quella materiale.

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