de Deo: quando Dio creò il mondo?

Secondo la Bibbia, o meglio secondo calcoli effettuati sulla base della narrazione biblica, la creazione risale a circa 6000 anni avanti Cristo.

Questo calcolo viene messo alla berlina dagli scientisti e dal laicume, poiché i ritrovamenti geologici e le evidenze astronomiche mostrano un universo esistente da miliardi di anni.

Naturalmente il calcolo biblico vale solo da Adamo in poi, mentre l’istante della creazione non risulta in alcun modo calcolabile, poiché solo gli stolti possono pensare che i famosi sette giorni corrispondano ad una settimana di calendario.

Leggo in Borges una interessante tesi, formulata da Ph.H. Gosse (*) nel suo libro Omphalos (Londra 1857) e ricavata da un riassunto fattone dal figlio Edmund (**) (Fhater ans Son, 1907) secondo la quale il mondo può essere stato creato in qualsiasi momento, visto che esso venne creato con tutto il suo tempo, quindi anche con il suo passato.

(*)  Philip Henry Gosse: Zoologo (Worcester 1810 – St. Marychurch 1888).
(**) Sir Edmund William Gosse: Scrittore e critico letterario. (Hackeney 1849 – Londra 1928).

Il primo istante del tempo coincide con l’istante della Creazione, come dice S.Agostino, ma quel primo istante comporta non solo un infinito futuro ma un infinito passato…

Il principio di ragione esige che non vi sia un solo effetto senza una causa… di tutte vi sono vestigia concrete, ma solo quelle posteriori alla Creazione hanno avuto esistenza reale. Esistono scheletri di glittodonte nella valle di Lujan, ma non vi sono mai stati glittodonti. Tale la tesi ingegnosa (e soprattutto incredibile) che Philip Henry Gosse propose alla religione ed alla scienza…

I giornalisti la ridussero alla dottrina che Dio aveva nascosto fossili sotto terra per provare la fede dei geologi…

J.L.Borges, Tutte le opere, I MERIDIANI, volume primo, Milano 1984, p. 931.

Questa lettura mi induce ad alcune riflessioni.

 

Analogia Omerica

“Quando, nel corso del poema (cioè dei dieci anni del ritorno di Ulisse), Omero scrisse l’Odissea?”

Questa domanda poco sensata mi sembra analoga a quella:

“Quando, nel corso del tempo (del mondo), Dio creò il mondo?”

Omero scrive l’Odissea fuori dal tempo del racconto, come Dio crea il mondo fuori dal tempo del mondo stesso.

Entrambi creano la loro opera pensandola, entrambi da un tempo diverso da quello della loro creazione.

 

Da questo punto di vista si può dire che la tesi riferita da Borges è corretta: Dio crea il mondo un milione di anni fa, ieri o domani, o alla fine dei tempi, ed ogni risposta è valida.

Quello che sfugge a Gosse (ed a Borges) è che, anche se il mondo viene creato in un momento qualsiasi, il passato nasce in quel momento, ma dotato di piena realtà, cioè “c’è effettivamente stato”. La sua realtà infatti consiste nell’essere pensato e contemplato da Dio, così come presente  e futuro.

In realtà alla domanda su Omero si può rispondere in due modi: rispetto al racconto, Omero scrive ogni qual volta usa il presente; rispetto ad un tempo assoluto, scrive dopo che i fatti si sono svolti.

Queste risposte ci conducono, per analogia, a pensare che, rispetto al nostro tempo, Dio crea il mondo e noi stessi esattamente ora, presente dopo presente; rispetto al Suo “tempo”, Dio crea il mondo nella sua totalità, e perciò lo crea nel futuro, a fatti già svolti.

 

Eternità e creazione

Dio agisce dall’eternità, cioè da una dimensione rispetto alla quale ogni nostro tempo è equivalente, passato, presente o futuro. Il mondo esiste per Lui nella sua totalità, dall’inizio alla fine (vedi capitolo “La Libertà”). La domanda relativa al tempo della creazione ha senso solo rispetto a noi, cioè si riferisce alla nostra visione del mondo, all’interno del tempo: quando, per noi, possiamo ritenere che Dio abbia creato il mondo?

Si noti che questa domanda, come tutte quelle concernenti il tempo, è strettamente relativa alla nostra autocoscienza: per il mondo in sé il tempo è indifferente, se esso esiste nella sua totalità. Da questo punto di vista, una creazione infinitamente lontana dalla nostra autocoscienza e dai fatti che possiamo storicamente considerare è poco sensata: bene fa la Bibbia a porre la creazione a noi vicina, piuttosto che in un tempo a noi impensabile.

 

Punto di vista scientifico

La domanda “Quando Dio creò?” è scientificamente scorretta. Essa va formulata così: “In quale punto spazio-temporale (cioè quando e dove, dove il dove comprende la propria velocità e forse accelerazione spazio-temporale)  ha avuto origine l’Universo?”

Quindi “Quando e dove Dio creò il mondo?”

A questa domanda la fisica quantistica e relativistica risponde: “In qualsiasi punto spazio temporale”. Infatti in qualsiasi punto spaziale e temporale è possibile fissare l’origine dell’Universo, e quindi ricavarne le equazioni  spazio temporali che ne descrivono lo svolgersi, con i relativi segni positivi e negativi.

Il punto di riferimento è sempre valido, e va preso dove risulta più comodo per l’osservatore: torniamo a sottolineare la saggezza della Bibbia che ha scelto un punto di riferimento a noi vicino e che permette di usare scale spazio temporali consone ai fatti che ci riguardano. D’altro canto questo conferma l’intuizione di Gosse, che risulta più vera ancora di quello che il formulatore prevedesse: infatti non solo la Creazione può venir pensata in un qualsiasi momento, ma il passato conseguente non risulta meno reale del presente e del futuro, poiché perfettamente reale in quanto pensato da Dio con l’intero Universo.

 

Il tempo come realtà della nostra coscienza

La scienza non ha ancora risolto il problema del tempo, cioè se esso sia infinito o abbia una origine da un punto spazio-temporale in cui il tempo e lo spazio avessero dimensioni e velocità azzerate. E’ comunque abbastanza pacifico che tempo e spazio siano dimensioni equivalenti, e che appaiano nelle equazioni nello steso modo, con segno positivo e negativo. Da questo punto di vista è sempre più probabile che anche scientificamente si possa affermare che il tempo, così come noi lo percepiamo, è solo un fatto psichico, relativo alla nostra autocoscienza.

Il tempo è unicamente il senso interno che diviene oggetto per se stesso, lo spazio il senso esterno che diviene oggetto per il senso interno.

F.W.J. Schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale, Rusconi, Milano 1997, p. 291.

Cioè, noi viaggiamo nel tempo come se fossimo su un treno che corre, e guardassimo dal finestrino: potremmo credere che la realtà spaziale continuasse a cambiare così come noi la vediamo, e che l’unica esistente fosse quella vista al momento: ciò che ci sta dietro è “passato”, ciò che non vediamo ancora è “futuro”.

Ecco come si esprime Hegel su tempo ed eternità:

Il tempo, come lo spazio, è una forma pura della sensibilità, cioè dell’intuizione…     Solo l’elemento naturale, in quanto è finito, è soggetto al tempo. Il Vero, invece, cioè l’Idea, lo Spirito, è eterno.  Il concetto di eternità non deve essere inteso però negativamente, come se si trattasse dell’astrazione dal tempo, e, per così dire, di una esistenza extratemporale. Né si deve intendere l’eternità come se essa venisse dopo il tempo; in tal caso, infatti, l’eternità sarebbe un futuro, e quindi un momento del tempo.

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Rusconi, Milano 1996, pp. 439-441.

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L’infinità temporale e spaziale come condizioni al contorno

Spazi infiniti ci circondano, e l’infinito spaziale si sviluppa verso l’alto, l’infinitamente grande, e verso il basso, l’infinitamente piccolo.

Parimenti il passato si estende infinitamente dietro a noi, ed il futuro altrettanto infinitamente si protende in avanti.

Ma lo spazio ed il tempo che ci riguardano ed interessano sono qui intorno a noi, in un raggio straordinariamente piccolo.

L’infinito che ci circonda mi sembra solamente il dissolversi delle quinte in una scena di teatro: la sua realtà, per quanto ci riguarda, è trascurabile. Il tempo e lo spazio infiniti sono solo condizioni al contorno della nostra libertà e del nostro pensiero.

 

Ma il primo a dirlo fu Chateaubriand?

Dopo aver scritto questo capitolo, trovo in Chateaubriand la stessa idea espressa quasi un secolo prima, cioè all’inizio dell’800.

Giungiamo ora all’ultima obiezione circa l’origine moderna del mondo. Si dice: La terra è una vecchia nutrice e tutto dimostra la sua caducità.

Osservatene i fossili, i marmi, i graniti, le lave, e potrete leggervi i suoi anni innumerevoli, segnati per strati, per cerchi, per ramificazioni, come quelli del serpente dal suo sonaglio, del cavallo dai suoi denti, o del cervo dai palchi delle sue corna. (nota: Il cervo rinnova le corna ogni anno, perdendole in primavera, ma, con l’età, esse aumentano di complessità, seppur non in modo proporzionale.)

Obiezione cento volte confutata da questa risposta: Dio ha dovuto creare, e senza dubbio ha creato, il mondo con tutte le tracce di vetustà e di compiutezza che presenta tuttora..

E’ infatti verosimile che l’Autore della natura abbia anzitutto piantato vecchie foreste e giovani boschi cedui; che gli animali siano nati, gli uni già carichi di giorni, gli altri adorni delle grazie dell’infanzia…

Se il mondo non fosse stato ad un tempo giovane e vecchio, tutto ciò che è grande, serio, morale sarebbe scomparso dalla natura; giacché tali sentimenti si riallacciano essenzialmente alle cose antiche. Ogni angolo della terra avrebbe perduto le sue meraviglie. Il roccione in rovina non sarebbe più strapiombato sull’abisso, con le lunghe chiome dei suoi rampicanti…

Senza questa vecchiaia originaria, non vi sarebbe stata né pompa, né maestà nelle opere dell’Onnipotente… Una insipida infanzia di piante, di animali, di elementi, avrebbe coronato una terra senza poesia…

F.R. de Chateaubriand, Genio del Cristianesimo, I, IV, V, vol. I, UTET, Torino 1949,  pp. 140-141.

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