de mundi: Il Disegno Intelligente come teoria scientifica

Il D.I. come presupposto metascientifico della Scienza

Col termine di Disegno Intelligente in senso lato si può intendere il presupposto metascientifico (*) per il quale l’Universo è descrivibile e conoscibile mediante Leggi Universali Razionali, coerenti con la struttura del Pensiero Umano. Questo presupposto, che costituisce il cosiddetto “Platonismo della Scienza moderna” è indispensabile alla stessa possibilità di esistenza di una scienza che non sia semplice enunciazione ed enumerazione di fenomeni o esperienze sensibili.

Esso implica la fiducia in una struttura razionale dell’Universo e la sua Intelligibilità da parte dell’Uomo, presupposti di carattere assolutamente metafisico ed indimostrabili.

La maggior parte dei pensatori e degli scienziati, da Cartesio a Newton fino a Planck ed Einstein, trassero da questo principio la convinzione dell’esistenza di un Essere Supremo Intelligente, e questo scrissero anche nelle loro opere, senza che ciò togliesse valore alla scientificità delle loro teorie, né che questo loro convincimento costituisse parte della teoria stessa (con l’eccezione di Newton, che introduce l’azione divina nel funzionamento normale dell’universo) .

In senso ristretto, col termine di D.I., si intende la pretesa di estendere questo presupposto anche all’ambito della evoluzione, ambito dal quale la cosiddetta teoria di Darwin vorrebbe escluderlo.

I sostenitori del D.I. sostengono la scientificità di una ricerca di leggi razionali anche nello sviluppo della evoluzione della vita, mentre i sostenitori del Darwinismo negano questa possibilità, in base alla presunta casualità del principio evolutivo.

 

(*) L’esistenza e la validità di enunciati metascientifici è necessariamente accettata anche dai più accesi scientisti, dal momento che accettano principi di definizione della scienza che non sono a loro volta scientifici in base alla loro stessa definizione. (L’enunciato: “sono scientifici solo gli enunciati analitici o quelli ricavati dalla esperienza sensibile” non è né analitico né ricavato dall’esperienza sensibile ed è quindi metascientifico, o metafisico).

 

Il ruolo della matematica

Già Platone, nel Menone, si rende conto che le conoscenze matematiche presenti nella mente umana non sono spiegabili se non con una particolare illuminazione divina: da qui il mito platonico della reminescenza.

Il mistero della matematica è presto detto: la nostra mente è in grado di elaborare matematiche superiori, che non ci vengono dall’esperienza sensibile, e che sono in grado di “calcolare” esattamente il comportamento del mondo fisico, anche di quello per noi non percepibile (onde herziane). Poiché nei millenni precedenti l’uomo non ha mai usato e neppure immaginato queste capacità, queste non si possono essere sviluppate attraverso il meccanismo della selezione naturale darwiniana, che prevede necessariamente l’uso della facoltà sviluppata (altrimenti non può influire sul meccanismo della selezione). Non è neppure pensabile che queste capacità siano la conseguenza necessaria dello sviluppo di capacità inferiori (come ad esempio le quattro operazioni elementari), perché invece si sa che circuiti elettronici capaci delle quattro operazioni, o di sviluppi superiori, non sono in grado di effettuare alcun altro calcolo non previsto.

Pensare che  queste capacità abbiano potuto svilupparsi per caso a loop aperto, cioè senza alcun controllo, è semplicemente pazzesco: chi può credere questo può credere anche ai folletti ed alla superiorità della cultura laica e di sinistra.

 

Galileo così compara la conoscenza matematica umana a quella divina, e ne ricava l’origine divina dell’intelletto umano:

…dico che quanto alla verità di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l’istessa che conosce la sapienza divina…

Quando io vo considerando quante e quanto meravigliose cose hanno intese ed investigate ed operate gli uomini, pur troppo chiaramente conosco io ed intendo, esser la mente umana opera di Dio…

G.Galilei, Il saggiatore, Opere, vol. II, Rossi, Napoli 19702, pp. 133-134.

Il grande matematico e fisico italiano, Luigi Fantappiè, così parla dell’argomento:

Dio invece ritorna oggi a essere necessariamente conosciuto dalla scienza, e ritorna anzi come sostegno e perno centrale della scienza stessa, oltre che della realtà, non appena la scienza, con l’evoluzione subita dal secolo scorso ad oggi, soprattutto nella matematica e nella fisica, è in sostanza tornata a riconoscere la realtà per quello che è, e cioè come sensibile e razionale insieme.

L. Fantappiè, Conferenze scelte, Di Renzo editore, Roma 1993, p. 25.

 

Ecco un brano tratto dall’intevento di Benedetto XVI al Convegno nazionale della chiesa cattolica di Verona, il 19-10-2006:

Una caratteristica [delle scienze] è infatti l’impiego sistematico degli strumenti della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’universo -che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico- suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettiva della natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra.

Benedetto XVI, da Il Foglio, venerdì 20 ottobre 2006, p. I.

 

Auto contraddizione degli enunciati scientisti.

Ero convinto che la contraddittorietà dell’enunciato di origine positivista: “Hanno significato solamente le asserzioni analitiche o quelle derivate dall’esperienza sensibile” fosse ormai chiaramente conosciuta da tutti (questa asserzione, infatti, non è né analitica, né deriva dall’esperienza sensibile), quando mi è accaduto di leggere su di un giornale queste frasi:

Dal punto di vista di una pura e limitata razionalità scientifica parlare di Dio e di fede religiosa è insensato, perché in questo ambito niente è dimostrabile e sperimentabile…

Credere è una scelta soggettiva che cade fuori dalla conoscenza certa ed è perciò irrazionale.

A.Berardinelli, Può un papa essere il nuovo Socrate?, Il Foglio, venerdì 29 sett. 2006, p. III.

Cadono davvero le braccia di fronte all’ignoranza ed alla presunzione che si celano in tanta saccenteria laica. Non essere scientifico, cioè sperimentabile (o, meglio, falsificabile), non significa non essere razionale, altrimenti tutto il citato articolo sarebbe irrazionale, perché non sperimentabile, come tutte le asserzioni normative o metodologiche. E’ inoltre ormai noto e stranoto che solo le verità di ragione, cioè quelle logiche o matematiche, rientrano nel novero delle conoscenze certe. Le conoscenze scientifiche sono invece ipotesi e congetture, accettate fino a controprova (esperimento). Esse hanno inoltre bisogno di un impianto normativo e metodologico di origine metafisica, cioè non sperimentale o derivato dall’esperienza sensibile, ma solo razionale.

Su questo si basa tutta l’opera di Popper, ma lo stesso Hegel, molto prima di lui, fa notare:

L’illusione fondamentale dell’empirismo scientifico consiste sempre in ciò: esso impiega le categorie metafisiche di Materia, Forza, e anche di Uno, Molteplice, Universalità, e, ancora, di Infinito, ecc., e quindi, sulla scorta di tali categorie, passa a tirare conclusioni, presupponendo e applicando le forme del sillogismo; in tutto ciò, però, esso non sa di contenere e fare metafisica, e usa quelle categorie e i loro collegamenti in una modalità completamente acritica ed inconsapevole.

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 38,  Rusconi, Milano 1996, p. 155.

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Il D.I. come asserzione scientifica.

Una asserzione si considera scientifica, secondo canoni ormai consolidati (Popper), quando

  • E’ compatibile con i principi logici e matematici (coerenza intrinseca).
  • E’ compatibile con l’esperienza sensibile.
  • E’ falsificabile, cioè sperimentabile (i termini sono ormai sinonimi).

(La prima condizione comprova di per se stessa la Platonicità della Scienza)

Il D.I. è conforme alle prime due condizioni, come del resto tutte le asserzioni metafisiche sensate, ma non lo sarebbe alla terza. Da questo scaturisce la critica alla scientificità dell’asserto, o principio del D.I.

A questo si obietta che la terza condizione è da tempo sotto critica, in particolar modo da parte della fisica quantistica e relativistica, sia per il principio di indeterminazione di Eisenberg, sia, e soprattutto, per la possibile esistenza di cause successive al fenomeno causato (cause finali), cause evidenziate come possibili dalle equazioni quantistiche e relativistiche, e che per la loro stessa natura non possono essere sperimentate, ma solo osservate.

Per questo motivo, ad esempio, Luigi Fantappiè sostituisce al criterio della sperimentabilità quello di “tendere ad una spiegazione unitaria” (Fantappié fa pure notare che la Matematica e la Logica sono scienze non sperimentali, perlomeno non in senso empirico).

 

Connessione del D.I. con l’esistenza di cause finali.

Con “causa finale” si intende una causa che segue nel tempo il fenomeno causato, che ne costituisce l’obiettivo.

La causa finale, per quanto dato dalla nostra esperienza, è caratteristica solamente degli esseri razionali ed autocoscienti.

L’ipotesi del D.I. presuppone la possibilità di cause finali che guidino l’evoluzione dell’Universo.

 

 

Scientificità del concetto di “Causa finale”.

Fu Aristotele ad introdurre, per giustificare la razionalità dell’Universo, il concetto di “causa finale”, una causa cioè che costituisce il fine di una azione, ed afferma che la causa finale è la vera causa che sta alla base del tutto.

Escluse nel 1300 da Ockam, le cause finali ritornano sulla scena del pensiero moderno con Leibniz, che ne scopre una studiando la rifrazione della luce: la luce segue sempre il cammino che la porta da un punto all’altro nel minor tempo possibile.

Questo principio, detto di Minima Azione, intuito da Leibniz, fu formulato in forma generale da Mapertuis e definito più esattamente da Eulero.

Max Planck lo definisce il principio più generale e più universalmente valido, superiore a quello di “Conservazione dell’Energia”, che è compreso in quello di “Minima Azione”, mentre non lo comprende.

Planck ne sottolinea anche la grande utilità nella determinazione delle leggi meccaniche, mentre fa notare che questo principio è quasi del tutto sottaciuto proprio per la sua caratteristica di “finalità”, caratteristica che non si concilia ideologicamente con le tendenze ideologiche dello scientismo contemporaneo:

Per altro esiste un’altra legge [oltre a quelle di conservazione dell’energia e della quantità di moto], molto più vasta, che ha la proprietà di fornire una risposta univoca a qualsiasi domanda fornita di senso riguardante il corso di un evento naturale, e, per quanto noi possiamo vedere, questa legge possiede altrettanta precisa validità che il principio dell’energia, anche nella fisica più recente. Ma ciò che noi dobbiamo riguardare come la meraviglia più grande, è il fatto che la formulazione più esatta di questa legge suscita in ogni persona imparziale l’impressione come se la natura fosse retta da un volere razionale, conscio del fine…

Non fa certo meraviglia, che la scoperta di questa legge, detta il principio della minima azione, da cui più tardi ha preso il nome anche il quanto elementare di azione, abbia colmato di grande entusiasmo il suo autore Leibniz, come pure subito dopo Mapertuis, che in questo fu un successore di Leibniz, perché questi scienziati credettero di aver trovato in essa il segno tangibile del potere di una mente suprema, dominatrice onnipotente della natura. Di fatto, col principio di azione viene introdotta nell’idea della casualità un concetto del tutto nuovo: alla causa efficiente, detta anche causa semplicemente, la quale agisce dal passato verso il futuro e che fa apparire gli stati posteriori come condizionati da quelli precedenti, si associa la causa finale, che, viceversa, pone come presupposto il futuro, cioè un fine determinato da raggiungere, e deduce da ciò il corso del processo che conduce a quel fine…

Ma il successo più splendido del principio della minima azione si è avuto, quando è apparso che persino nella moderna teoria della relatività di Einstein, che ha privato della loro universalità così numerosi teoremi fisici, questo principio non solo ha conservato la sua validità, ma è atto a prendere il posto più elevato fra tutte le leggi fisiche.

M. Planck, Scienza, filosofia e religione,  Fr.Fabbri Editori, Milano 1965, p. 251-252.

 

Altra teoria scientifica che fa riferimento alle cause finali, è quella delle onde convergenti o a potenziali anticipati del Fantappiè, enunciata nel suo libro Principi di una teoria unitaria del mondo fisico e biologico. Secondo il Fantappiè una delle caratteristiche delle cause finali è quella di tendere verso una minore entropia, cioè verso una maggior organizzazione e differenziazione, al contrario di quelle meccaniche che vanno verso un aumento dell’entropia e della uniformità. Altra caratteristica intrinseca è quella di non poter essere sperimentate (poiché la causa segue il fenomeno), ma di essere solo osservate. A questo tipo di cause si possono far risalire tutti i fenomeni di sviluppo della vita, ma anche altri fenomeni fisici (buchi neri o formazione di nuove stelle, ecc.).

 

Anche Karl Popper esprime un pensiero sulla teoria della evoluzione, che rivela una chiara concezione finalistica:

Io credo che la scienza ci suggerisca (ovviamente come congettura) l’immagine di un universo inventivo e persino creativo, di un universo in cui emergono cose nuove a nuovi livelli.

Al primo livello si trova la teoria della comparsa dei nuclei atomici pesanti al centro delle grandi stelle e, a un livello superiore, l’evidenza dell’apparizione di molecole organiche in qualche parte dello spazio.

Al livello successivo emerge la vita. Anche se un giorno l’origine della vita dovesse diventare riproducibile in laboratorio, la vita crea qualcosa di totalmente nuovo nell’universo: la peculiare attività degli organismi, in particolare le azioni degli animali molto spesso tese ad uno scopo, e il loro risolvere problemi. Tutti gli organismi sono continui risolutori di problemi, pur non essendo consapevoli della maggior parte dei problemi che tentano di risolvere.

Ad un livello più alto c’è il grande passo della comparsa degli esseri coscienti. Con la distinzione fra stati coscienti e stati incoscienti qualcosa di totalmente nuovo e della massima importanza entra a far parte dell’universo…

Ancora più in alto il livello dell’apparizione dei prodotti della mente umana, come le opere d’arte e della scienza, specialmente le teorie scientifiche.

Credo che gli scienziati, anche i più scettici, debbano ammettere che l’universo o la natura sono creativi, visto che hanno prodotto uomini creativi come Shakespeare, Michelangelo e Mozart e quindi indirettamente le loro opere…

Anche se la scienza non ha nulla da dire circa un Creatore, l’apparizione di cose nuove e la creatività dell’universo, della vita e della mente umana sono difficilmente contestabili…

La selezione naturale non elimina, dal quadro dell’universo dipinto dalla scienza, il miracolo della creatività e quello della libertà: la libertà di creare, la libertà di scegliere i nostri fini e i nostri scopi.

K. Popper, Tre saggi sulla mente umana, Armando ed., Roma 1994,  p. 7-8.

 

 

La teoria dei fenomeni sintropici di Luigi Fantappiè.

Luigi Fantappiè (Viterbo 1901, Bagnaia 1956) fu matematico e fisico insigne, e contribuì allo sviluppo della fisica relativistica con la sua teoria dei funzionali analitici, che lo rese celebre in tutto il mondo. Egli elaborò pure una teoria fisica, detta delle onde convergenti, o dei fenomeni sintropici, con la quale spiega lo sviluppo della vita e della natura, partendo dai suoi studi fisici e matematici.

Riassumendola in termini semplici

 

  • Importanza della matematica nelle scoperte della fisica teorica

Il Fantappiè fa notare che nella fisica relativistica è venuta sempre più prendendo importanza la matematica, a tal punto che le ultime scoperte nel campo delle particelle non vengono più da esperimenti empirici, ma dall’analisi razionale delle equazioni che definiscono i fenomeni, equazioni che offrono, con le loro soluzioni matematiche, l’anticipazione dei fenomeni che si scoprono successivamente, seguendo le indicazioni della analisi teorica. Pertanto si è pervenuti ad una confidente certezza che le soluzioni matematiche delle equazioni relativistiche corrispondono a realtà fisiche.

 

  • Ruolo simmetrico del tempo

Nelle equazioni relativistiche, il tempo appare alla stregua delle altre tre dimensioni fisiche, cioè quelle spaziali. Questo fatto offre soluzioni matematiche a dette equazioni anche nel campo definito dal tempo negativo, così come per le altre dimensioni: come nello spazio si può andare avanti ed indietro, così pure nel tempo, perlomeno matematicamente.

Da questa considerazione, si passa a scoprire che, oltre ai fenomeni noti, ve ne possono essere altri a noi sconosciuti, o non perfettamente conoscibili, ma rivelati dalle equazioni, che corrispondono a quelli del campo a tempo negativo.

Ad esempio, oltre alle onde a noi conosciute, cioè quelle divergenti, che partono da un punto origine e si diffondono verso l’esterno, le equazioni danno come possibili, e quindi come esistenti, anche onde convergenti, cioè che provenendo dallo spazio, convergono e spariscono nel punto origine.

 

  • Fenomeni entropici e fenomeni sintropici

Proseguendo in queste considerazioni, il Fantappiè fa notare che, mentre per i fenomeni regolati dalle equazioni ad onde divergenti, vale il secondo principio della termodinamica, cioè che l’entropia, ovvero il grado di disordine, è in continuo aumento, per i fenomeni regolati da equazioni convergenti, l’entropia dovrebbe essere in continua diminuzione, cioè si dovrebbe essere in presenza di fenomeni a grado di organizzazione crescente.

I fenomeni del primo tipo, a disordine crescente, sono da lui chiamati entropici, quelli ad ordine crescente, sintropici.

I fenomeni entropici sono evidentemente quelli della fisica classica, ed hanno come caratteristica definibile in modo comprensibile, quella di avere cause precedenti nel tempo; quelli sintropici hanno invece cause successive, cioè si causano per qualche cosa che avverrà in futuro (ecco la causa finale).

Caratteristica dei fenomeni sintropici è quella di non essere sperimentabili, poiché non si possono causare, avendo per definizione la causa nel futuro.

Questo fatto li rende anche difficilmente osservabili, nella loro specifica funzionalità, per l’inversione causale, a noi difficilmente comprensibile.

Inoltre, mentre i fenomeni entropici assorbono energia, i sintropici dovrebbero emetterla.

 

  • La natura organica è il fenomeno sintropico per eccellenza

Terminato lo studio teorico, il Fantappiè si chiede se per caso non conosciamo qualche fenomeno che corrisponda alla descrizione dei fenomeni sintropici: è per lui evidente che la natura vivente è proprio questo fenomeno.

Essa procede verso forme organizzative sempre più complesse, in assoluto spregio del secondo principio della termodinamica; anche gli altri punti corrispondono al comportamento degli esseri viventi.

In tal modo il F. reputa superato il darwinismo, che, secondo lui, non solo è assolutamente indimostrato, ma anche illogico.

 

Critica al darwinismo.

Se voi constatate il fatto che tutto il genere umano crede in Dio, l’incredulo vi oppone prima questa o quella tribù selvaggia, poi questa o quella persona, e da ultimo se stesso. Se osservate che l’universo non può essere originato dal caso, perché non vi sarebbe stata, in tal senso, se non un’unica probabilità favorevole, contro innumerevoli contrarie, l’incredulo ne conviene, ma vi risponde che, comunque, tale probabilità esisteva… Per l’ateo, insomma, la natura è un libro, ove la verità si trova sempre nella nota e mai nel testo; una lingua, di cui i barbarismi soli costituiscono l’essenza ed il genio particolare.

 F.R. de Chateaubriand, Genio del Cristianesimo, I, VI, IV, UTET, Torino 1949,  pp. 213-214.

 

La teoria di Darwin, erroneamente detta evoluzionista, (l’evoluzionismo si limita a sostenere che gli esseri viventi si evolvono), sostiene che l’evoluzione avviene per caso, e viene entusiasticamente accettata dal mondo laico, perché, nella sua pochezza logica e scientifica, il laicume crede in tal modo di escludere Dio dalla creazione (tra l’altro, anche questo non è vero): essa non è una teoria scientifica secondo i parametri dichiarati dai suoi sostenitori, perché

1) Contraddice palesemente l’esperienza sensibile, che mostra una Natura rigorosamente organizzata, mentre non ci mostra alcun caso di organizzazione della quale possiamo provare la provenienza, che non provenga da una intelligenza (basta leggere Aristotele, non occorre san Tommaso).

Quindi, il credere ad una organizzazione proveniente dal caso è frutto solamente di pregiudizio ideologico, non viene da nessuna esperienza reale.

2) Contraddice il secondo principio della termodinamica: in un sistema chiuso, retto dalle “normali” leggi fisiche, l’entropia, cioè il grado di disordine e di uniformità non può che aumentare: pertanto, al contrario delle affermazioni di Darwin, il caso non può dar origine a sistemi organizzati. Un esempio chiarificatore: i sostenitori di Darwin affermano che, se mettiamo i pezzi di una sveglia in una scatola e scuotiamo per qualche migliaio di anni, vi è la possibilità che la sveglia si ricomponga: in realtà, già dopo pochi anni dalla scatola uscirà solo polvere e limatura, ed al posto della sveglia si potrà al massimo farne il contenuto per una clessidra a sabbia

3) Non è sperimentabile, per tre motivi, uno pratico, ma di minor importanza, e due teorici e non superabili:

  • Necessita di un tempo eccessivamente lungo per essere sperimentata.
  • La casualità, come la causalità, non è sperimentabile: anche di fronte al verificarsi di un fenomeno casuale, la sua casualità non è evidenziabile dai fatti, ma solo dichiarabile dogmaticamente: sperimentabili sono i fatti, non i legami causali. Ad esempio, se gettiamo un dado e vediamo uscire il numero “2”, l’esperimento ci dice che è uscito il “2”, ma non ci dice perché è uscito, se per caso o perché il dado in quel momento era di quell’umore.
  • Un esperimento è un evento provocato ed organizzato per ottenere un certo risultato: tutto ciò che vi si verifica non può pertanto essere dichiarato casuale.

4) Non è utile a predire il futuro, né nel senso della sperimentabilità, né in quello della utilità tecnica, proprio a causa della casualità sostenuta. (Al contrario, ad esempio dei principi di Mendel, che definiscono leggi precise e sperimentabili).

5) Fa riferimento ad un principio causale, cioè il caso: ma la scienza definisce leggi modali, non ricerca né definisce cause: la causa rientra nelle strutture mentali, non nelle definizioni scientifiche.

6) Contraddice il primo assioma della Scienza moderna, cioè che l’Universo é retto da leggi razionali ed esprimibili matematicamente (cioè è strutturato secondo un Disegno Intelligente). Secondo i darwinisti, l’evoluzione sarebbe l’unico caso in natura non retto da leggi Razionali esprimibili matematicamente.

7) Contraddice il secondo assioma, cioè che le leggi dell’Universo sono comprensibili alla Mente umana, e che la Mente è in grado di ergersi a giudice della loro logicità: un cervello sviluppatosi per caso, selezionato dalla capacità di riprodursi e sopravvivere non ha alcun diritto di ergersi a giudice di un bel nulla al di là di quello che può aver effettivamente sperimentato per migliaia di anni (e non si dice altro per non incorrere in scurrilità). In particolare il darwinismo non spiega come il nostro cervello sia in grado di elaborare matematiche superiori, che risultano coerenti con il funzionamento dell’Universo, quando questa sua capacità non ci è mai stata utile, e neppure è mai stata usata, nelle migliaia di anni precedenti, e quindi non può essere stata guidata dal meccanismo di selezione naturale, che necessita dell’effettiva attualità della caratteristica in oggetto.

 

Riporto tre citazioni particolarmente interessanti sul darwinismo, la prima di Chesterton, la seconda del grande matematico e fisico italiano, Luigi Fantappiè, la terza del filosofo della scienza Karl Popper.

L’evoluzionismo è un ottimo esempio di quella intelligenza moderna che, se qualche cosa distrugge, distrugge se stessa: l’evoluzione o è una innocente descrizione scientifica di come certe cose si produssero sulla terra, o, se vuol essere qualche cosa di più, è un attacco contro il pensiero stesso. Se l’evoluzione distrugge qualche cosa, non distrugge la religione, ma il razionalismo. Se l’evoluzione significa semplicemente che una cosa materiale che si chiama scimmia si è trasformata lentamente in un’altra cosa materiale che si chiama uomo, tale dottrina non potrebbe urtare menomamente il cristiano più ortodosso, giacché un Dio personale – specialmente se, come il Dio cristiano, è al di fuori del tempo- può fare le cose gradualmente o tutte in una volta. Ma se l’evoluzione significa qualche altra cosa, significa che non esiste né la scimmia da essere cambiata in uomo, né l’uomo in cui deve essere cambiata la scimmia. Significa che non esiste alcuna cosa in quanto tale; o, per dire meglio, esiste soltanto una cosa, e cioè il flusso di tutto e d’ogni cosa… Descartes dice “Penso, dunque sono”. Il filosofo evoluzionista capovolge e nega l’epigrafe cartesiana: ”Non sono, dunque non penso”.

G.K. Chesterton, L’ortodossia, Soc.Ed. S.Alessandro, Bergamo 1945, pp. 41-42.

 

Pur tenendo conto dell’altro fatto accertato su cui si basa la teoria di Darwin, cioè la lunga durata della vita sul globo terrestre, il calcolo prova allora che tale durata, per quanto lunga, è sempre insufficiente per spiegare la formazione non già di un essere vivente o di un suo apparato, ma anche di una sola molecola di proteina. Infatti, anche tenendo conto non solo del globo terrestre, ma di tutto l’universo finora conosciuto e della sua massima verosimile durata, la probabilità di formazione di una tale molecola, in un punto qualunque dell’universo, ad un’epoca qualunque, sarebbe ancora tanto piccola da essere praticamente nulla, come è praticamente nulla la probabilità di veder passare calore da un corpo freddo ad uno più caldo, o, detto in termini crudi, di veder gelare una pentola piena di acqua posta sul fuoco.

L. Fantappié, Principi di una teoria unitaria del mondo fisico e biologico, Di Renzo, Roma 1993, p.63

 

Questa teoria [il darwinismo, ndr] è straordinariamente suggestiva e vigorosa. La pretesa che essa spieghi completamente l’evoluzione è ovviamente eccessiva e ben lungi dall’essere dimostrata

…gli scienziati devono resistere alla tentazione dello scientismo. Devono sempre tener presente, come credo che abbia fatto Darwin, che la scienza è congetturale e fallibile. Essa non risolve tutti i problemi dell’universo, e neppure promette di risolverli….

La teoria della selezione naturale può essere formulata in modo che essa non sia affatto tautologica (cioè, spiega in precedenza Popper, che non sostenga solo: “che gli organismi che producono una maggior discendenza sono quelli che producono una maggior discendenza”, ndr). In questo caso non solo è controllabile, ma a rigore si rivela anche non universalmente vera. Pare che esistano delle eccezioni, come in molte teorie biologiche; e considerando il carattere casuale delle variazioni su cui si basa la selezione naturale, l’evenienza di eccezioni non è sorprendente. Non tutti i fenomeni evolutivi sono quindi spiegabili con la sola selezione naturale. In ogni caso particolare solo un programma di ricerca impegnativo può dimostrare in che misura la selezione naturale possa essere ritenuta responsabile dell’evoluzione di un dato organo o di un programma comportamentale.

 K. Popper, Tre saggi sulla mente umana, Armando ed., Roma 1994,  pp. 8, 11.

 

Possibile conciliazione tra Darwinismo e Disegno Intelligente.

La Fisica quantistica afferma che lo stato delle singole particelle è rappresentato da una funzione probabilistica. Questo può essere pensato come analogo ad un comportamento casuale. Tuttavia, la somma degli infiniti comportamenti elementari origina comportamenti rigorosamente determinati e regolati da leggi razionali.

Analogamente si può pensare che le singole mutazioni degli organismi viventi obbediscano ad una legge probabilistica, mentre le macro mutazioni siano conformi a leggi razionali esprimibili matematicamente.

Se questo sia dovuto ad un intervento di un Essere Personale o ad altra spiegazione resta un fatto al di fuori comunque dell’indagine scientifica e di competenza della Metafisica.

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