nono e conclusivo intermezzo: la santissima Trinità

  1. Il Signore apparve ancora una volta ad Abramo mentre questi sedeva, nell’ora più calda del giorno, davanti alla tenda, presso il querceto di Mamre.
  2. Avendo, dunque, Abramo alzato gli occhi, vide tre uomini in piedi davanti a lui e, scortili, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra
  3. e disse: “Signore, se mai ho trovato grazia ai Tuoi occhi, non oltrepassare il Tuo servo.
  4. Prenderò dell’acqua, vi laverò i piedi e vi riposerete sotto l’albero.
  5. E recherò del pane per ristorarvi e poi proseguirete; non sarete passati invano davanti alla tenda del vostro servo”. Dissero quelli: “Fa allora come hai detto”.
  6. Abramo entrò in tutta fretta nella tenda e disse a Sara: “Impasta subito tre misure di fior di farina, e fanne focacce”.
  7. Poi corse agli armenti e scelse un vitello, tenero e buono e lo porse ad un servo, chè lo cuocesse in fretta.
  8. Prese, inoltre, burro e latte ed il vitello, cotto nel frattempo e imbandì tutto davanti a Loro e se ne stette in piedi sotto un albero.
  9. Quando ebbero mangiato gli chiesero: “Dove è dunque Sara, tua moglie?”. Egli rispose “E’ nella tenda”.
  10. Ed Egli gli disse: “Ripasserò da te tra un anno di questi tempi, e tua moglie Sara avrà un figlio”. Sara udì queste parole dall’ingresso della tenda.
  11. Ed erano vecchi ambedue avanzati in età e già a Sara erano cessati da tempo i corsi mensili.
  12. Rise, perciò Sara in cuor suo e disse: “Proverò dunque, ancora piacere da vecchia, ora che anche il mio padrone è decrepito?”
  13. Allora il Signore disse ad Abramo: “Perché mai ride Sara dicendosi –Come partorire, da vecchia?- .
  14. V’è forse, per Dio, qualcosa d’impossibile? Ritornerò da te in questi stessi tempi, secondo la promessa, e Sara avrà un figlio, favorendovi la vita.
  15. Ma Sara negava impaurita, dicendo: “Io non ho riso”. Ma il Signore: “Si, tu hai riso”, disse.

Genesi, XVIII.

 

Questo brano della Genesi costituisce, secondo la tradizione, la prima rivelazione della Trinità divina. Il dogma della Trinità nell’Unità di Dio fu però enunciato molto più tardi, nei primi secoli dopo Cristo, per spiegare le dichiarazioni di Gesù e la divinità del Cristo. Il concilio di Nicea, 325 d.C., definì per la prima volta, in forma ufficiale, una dottrina ormai consolidata nel pensiero dei primi Padri, ed apparsa per la prima volta nella sua completezza nell’opera di Origene (185-253).

 

“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.”

Matteo, 28, 19-20.

 

Il dogma trinitario è, secondo me, dopo quello dell’Incarnazione, del quale è la premessa indispensabile, l’aspetto più originale e prezioso della dottrina cristiana, e, dal punto di vista puramente filosofico, quello più ricco di contenuti e significati. Mi è accaduto più volte di pensare che, proprio il dogma della Trinità ed Unicità di Dio costituisca la prova più certa della superiorità del Cristianesimo su ogni altra dottrina religiosa e filosofica, se non la prova inoppugnabile della sua veracità: se una religione può definirsi ”vera”, questa non può essere che il Cristianesimo, e proprio per la sua concezione superiore della realtà divina.

Purtroppo l’autentico significato di questa concezione è andata perdendosi, per l’ignoranza e la superficialità di chi doveva esserne il più geloso custode, cioè i preti, cosicché oggigiorno ben pochi sanno quale ne sia il significato filosofico ed ontologico.

I preti, imbevuti di modernismo e materialismo, si vergognano delle definizioni dei Padri della Trinità divina, poiché non consone alla generale pochezza dottrinale del gregge di cui fan parte a pieno titolo, e si limitano a ripetere frasi ermetiche, mascherate dalla dichiarazione che questo dogma è un mistero di cui non vale la pena occuparsi.

 

Sviluppo del concetto trinitario

L’elaborazione della concezione cristiana della divinità avviene al culmine dello sviluppo del pensiero filosofico occidentale, quando gli argomenti riguardanti il divino erano già stati dibattuti e approfonditi infinite volte, ed erano giunti ad un punto morto, in mezzo a difficoltà inestricabili.

Il punto fondamentale, di fronte al quale si era arenato lo sforzo speculativo dei filosofi, era quello della Libertà divina: un Dio, perfetto per definizione, non poteva essere diverso da quello che era, né la sua immutabilità permetteva un’azione diversa dall’assoluta imperturbabilità. Perciò Gli era preclusa ogni attività creatrice o provvidenziale, mentre la Sua mancanza di Libertà, toglieva ogni possibilità di essere libero all’Uomo.

La soluzione cristiana viene da una revisione dell’idea di Dio elaborata da Aristotele, alla luce della convinzione ebraico-cristiana che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio. Questo giustifica il cercare le risposte razionali su Dio, ricercandole all’interno della mente umana, cioè, l’analisi della mente umana rivela la struttura di quella Divina, almeno per analogia.

 

Ecco cosa dice Aristotele di Dio, in un famosissimo brano:

Da un tale Principio, dunque, dipendono il cielo e la natura. Ed il suo modo di vivere è il più eccellente: è quel modo di vivere che a noi è concesso solo per breve tempo. E in quello stato Egli è sempre. A noi questo è impossibile, ma a Lui non è impossibile, poiché l’atto del suo vivere è piacere. E anche per noi veglia, sensazione e conoscenza sono in sommo grado piacevoli, proprio perché sono atto, e, in virtù di questi, anche speranze e ricordi.

Ora, il pensiero che è pensiero per sé, ha come oggetto ciò che è di per sé più eccellente, e il pensiero che è tale in massimo grado ha per oggetto ciò che è eccellente in massimo grado. L’intelligenza pensa se stessa, cogliendosi come intelligibile: infatti, essa diventa intelligibile intuendo e pensando sé, cosicché intelligenza ed intelligibile coincidono.

L’intelligenza è, infatti, ciò che è capace di cogliere l’intelligibile e la sostanza, ed è in atto quando li possiede. Pertanto, più ancora che quella capacità, è questo possesso ciò che di divino ha l’intelligenza; e l’attività contemplativa è ciò che c’è di più piacevole ed eccellente.

Se, dunque, in questa felice condizione in cui noi ci troviamo talvolta, Dio si trova perennemente, è meraviglioso; e se Egli si trova in una condizione superiore, è ancor più meraviglioso. E in questa condizione Egli effettivamente si trova.

Ed Egli è anche vita, perché l’attività dell’intelligenza è vita, ed Egli è appunto quell’attività. E la sua attività, che sussiste di per sé, è vita ottima ed eterna. Diciamo infatti che Dio è vivente, eterno e ottimo; cosicché a Dio appartiene una vita perennemente continua ed eterna: e questo è Dio.

Aristotele, Metafisica, XII, 7, 1072b, 15-30.

 

Aristotele coglie quindi l’essenza divina nel Pensiero, e, più precisamente, nell’atto del Pensiero di cogliere se stesso, cioè nell’autocoscienza. In tali termini, egli afferma, anche l’autocoscienza umana è qualche cosa di divino. Il nostro Io consiste, infatti, propriamente in una capacità di pensare, che coglie se stessa.

 

Da qui parte il pensiero cristiano, nell’impossibile, eppur riuscita missione di conciliare il sapere filosofico con quello rivelato, nella convinzione che una sola è la fonte della Verità, e che quanto scoperto dai filosofi attraverso il Logos (ragione) è altrettanto vero di quanto rivelatoci dal Logos (Figlio di Dio, Gesù Cristo): da due fonti ci giunge la Rivelazione, dai filosofi e dai Profeti, afferma san Giustino, il primo degli Apologeti (150 d.C.).

Abbiamo appreso che il Cristo è il Primogenito di Dio, ed abbiamo ricordato che è la Ragione (Logos) della quale partecipa tutto il genere umano. Coloro che hanno vissuto secondo Ragione sono cristiani, anche se sono stati considerati atei, come tra i Greci, Socrate ed Eraclito, ed altri simili… Di conseguenza, coloro che hanno vissuto prima di Cristo, ma non secondo Ragione, sono stati malvagi, nemici di Cristo e assassini di quelli che vivevano secondo Ragione; al contrario, quelli che hanno vissuto e vivono secondo Ragione sono cristiani, non soggetti a paure e turbamenti.

Giustino, Prima Apologia, XLVI.

 

Così, risultò abbastanza facile attribuire al Padre la caratteristica di Potenza pensante, mentre il Figlio è il frutto del Pensiero, cioè il Pensato. Poiché il Padre, nel costituirsi dell’autocoscienza divina, pensa se stesso, il Figlio è uguale al Padre, ma qualitativamente distinto.

A queste due manifestazioni divine, o ipostasi, il Cristianesimo aggiunse la terza, fondamentale, caratteristica dell’autocoscienza, che scaturisce immediatamente dalle prime due: non appena l’Io coglie se stesso, esso si ama e vuole.

Amore e Volontà sono quindi la Terza Persona della Trinità, lo Spirito Santo.

Lo Spirito Santo costituisce, in quanto Volontà ed Amore, la Libertà di Dio: Dio si pensa e si fa così come si ama, si vuole e si piace. E altrettanto pensa in se stesso la sua Creazione, frutto della sua Libertà. Liberamente Egli crea l’Uomo libero e concreatore, cioè capace, con la sua azione liberamente determinata, di modificare il Creato.

Per questo al Padre si attribuisce il concetto di Potenza, al figlio quello di Sapienza, Logos, Ragione (il pensato, il conosciuto) ed allo Spirito Santo quello di Amore o di Saggezza (la guida alla Potenza ed alla Sapienza).

 

Questa concezione è quella che viene descritta più volte in alcuni famosi versi danteschi:

 

Fecemi la divina Potestate,

la somma Sapїenza e il primo Amore

Dante, Inferno, III, 1.

 

Potestate è il Padre, Sapїenza il Figlio e Primo Amore lo Spirito Santo.

 

O luce etterna, che sola in te sidi,

sola t’intendi, e da te intelletta

ed intendente te ami ed arridi!

Dante, Paradiso, XXXIII, 124.

 

Qui Dante si riferisce direttamente alle azioni delle tre Ipostasi divine: intendente è il Padre, intelletto è il Figlio (inteso, pensato dal Padre), ami ed arridi sono le azioni dello Spirito.

 

Più ponderosamente e con maggior chiarezza si esprime sant’Anselmo d’Aosta nel suo Monologion, trattato su Dio esaminato alla sola luce della ragione: 

Habet igitur mens rationalis, cum se cogitando intelligit, secum imaginem suam ex se natam, id est cogitationem sui ad suam similitudinem quasi sua impressione formatam… Quae imago eius, verbum eius est.

(La mente razionale ha dunque con sé, quando si conosce pensando, l’immagine sua nata da sé, cioè il pensiero di sé formato a sua similitudine come da una sua impressione… La quale sua immagine è la sua parola)

Monologion, XXXIII.

 

…si nihil umquam aliud esset quam summus spiritus pater et filius: nihilominus seipsos et invicem pater et filius diligerent. Consequitur itaque hunc amorem non esse aliud quam quod est pater et filius, quod est summa essentia.

(..se null’altro esistesse che il sommo Spirito Padre e Figlio, nondimeno il Padre e il Figlio amerebbero se stessi e si amerebbero a vicenda. Ne consegue che questo Amore non è altro da ciò che sono il Padre ed il Figlio, cioè la somma essenza)

Monologion, LII.

 

Vorrei ora sottolineare tre caratteristiche della dottrina Trinitaria, che mi paiono particolarmente interessanti.

 

Prima caratteristica della Trinità: essere ricavata dall’immagine della mente umana

La prima delle caratteristiche che ci paiono fondamentali nell’idea della Trinità divina, è quella che essa è stata fondata sull’esame della interiorità umana.

Questo fatto, che porta il materialista ad affermare che Dio non è che una proiezione dell’uomo (Feuerbach), va invece inteso esattamente al contrario, cioè che l’idea cristiana di Uomo è una proiezione dell’idea di Dio, che nasce dalla convinzione, assolutamente originale e fondante della nostra civiltà occidentale, che l’Uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio.

Solo questa idea rende sacro l’Uomo all’Uomo ed è alla base della teoria dei Diritti umani, che i begli ingegni laici credono di fondare sulla convenzione delle leggi e dei costumi, cioè sul nulla elevato al quadrato.

E’ questa concezione che ha posto il Pensiero e la Ragione alla sommità dei valori umani, che ha fatto dire al Cristianesimo che la Rivelazione non può essere in contrasto con la Ragione, che la Libertà umana è un dono divino inalienabile ed imprescrittibile.

Nella Trinità troviamo i Valori più alti fondanti non solo la nostra civiltà, ma la nostra speranza di non essere un nulla uscito dal nulla e che al nulla tornerà.

Ecco, ancora una volta Anselmo, esprimere magistralmente questo concetto:

…Patet itaque quia, sicut sola est mens rationalis inter omnes creaturas, quae ad eius investigationem assurgere valeat, ita nihilominus eadem sola est, per quam maxime ipsamet ad eiusdem inventionem proficere queat. Nam iam cognitum est, quia haec illi maxime per naturalis essentiae propinquat similitudinem. Quid igitur apertius quam quia mens rationalis quanto studiosius ad se discendum intendit, tanto efficacius ad illius cognitionem ascendit; et quanto seipsam intueri negligit, tanto ab eius speculatione descendit?

(…E’ chiaro pertanto che, come la mente razionale è la sola, tra tutte le creature, capace di elevarsi alla ricerca dalla somma essenza, così è anche la sola per la quale essa stessa possa progredire massimamente verso la sua scoperta. E’ già noto, infatti, che la mente razionale si avvicina massimamente, per similitudine di essenza naturale, alla somma essenza. Che cosa è dunque più evidente del fatto che la mente razionale, quanto più accuratamente si volge ad apprendere se stessa, tanto più efficacemente sale alla conoscenza della somma essenza, e quanto più trascura di esaminare se stessa, tanto più discende dalla sua visione?)

Monologion, LXVI.

 

Seconda caratteristica della Trinità: ricavare la propria libertà dalla dialettica originata dalla molteplicità

La Libertà di Dio è conseguenza del Suo esser molteplice nella Sua unità. La Pluralità di Dio è la chiave di spiegazione della sua Libertà.

Il dio monolitico di Aristotele, prigioniero della sua perfezione e della sua impassibilità, o quello tutto razionale degli Stoici, incatenato alla sua Ragione ineluttabile ed immodificabile sono sostituiti da un Dio che concilia Pensiero, Ragione ed Amore in una unica, indissolubile Unità, dove queste tre fondamentali Essenze hanno la dignità suprema di libera Persona.

 

La divina dialettica che si estrinseca tra Padre, Figlio e Spirito viene colta da Hegel come il principio universale che conforma non solo lo Spirito stesso, ma l’intera sua Creazione.

Ecco come il filosofo tedesco descrive, nella sua prosa terribile e pressoché incomprensibile, adatta alla complessità ed all’ineffabilità dell’argomento, la prima delle infinite divisioni ternarie nelle quali si estrinseca lo Spirito:

Le tre forme fondamentali dello Spirito

Nel suo sviluppo lo Spirito è:

nella forma della Relazione a se stesso, al suo interno, esso assiste alla totalità idealitata dell’Idea, vale a dire: il suo Concetto diviene per esso, e il suo Essere consiste dell’essere-presso-sé, cioè nell’essere-libero; questo è lo Spirito soggettivo;

nella forma della Realità, come di un mondo che lo Spirito deve produrre, e nel quale la Libertà è come Necessità data; questo è lo Spirito soggettivo;

nell’Unità, essente-in-sé-e-per-sé ed eternamente producentesi, dell’Oggettività dello Spirito e della sua Idealità o Concetto: qui lo Spirito è nella sua Verità assoluta, è lo Spirito assoluto.

Hegel Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 385.

 

Come facilmente si osserva, in Hegel non appare la parola Amore, ed è sottaciuta anche quella di Volontà. Lo Spirito di Hegel è essenzialmente Idea, Concetto, Ragione, Libertà.

Abbiamo già visto come invece, per Schopenhauer, Dio è ridotto a cieca Volontà, priva della Ragione.

La concezione cristiana mi pare indubbiamente superiore ad entrambe, non perdendo alcun aspetto della realtà e conciliando mirabilmente tutte le caratteristiche basilari dello Spirito.

 

Terza caratteristica della Trinità: essere la chiave di interpretazione del destino umano

Ma il punto più interessante e sconvolgente della concezione trinitaria, è quello legato alla nostra realtà ed al nostro destino. E’ infatti solamente un Dio non monolitico, ma plurale, che può originare uno Spirito individuale e limitato, come il nostro, simile a Lui e che della Sua complessità possa far parte.

Il fatto che Dio sia Uno e Trino, apre immediatamente la possibilità che Egli sia Uno e molteplice: trino od infinito, a questo punto sono del tutto equivalenti, una volta accertata la possibilità che lo Spirito possa essere Uno e Molti ad un tempo.

Ecco dove, a questo punto, trova il suo posto anche lo Spirito umano, vera scintilla divina, veramente figlio di Dio, ultima ed infinitesima delle ipostasi divine.

Ecco la spiegazione dell’Incarnazione e della Redenzione; ecco perché il Figlio scende e muore in Croce per salvarci: non la più piccola parte di Dio può, per Dio, essere abbandonata a se stessa.

L’uomo è una piccolissima parte di Dio (qui, scusate, il mio linguaggio non può essere che impreciso e quasi eretico, ma la difficoltà dell’argomento e l’importanza del concetto a questo ci costringe), che ripete in sé la struttura stessa di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo si ripetono in noi nella forma di Potenza pensante e percipiente, nel nostro cogliere noi stessi nell’autocoscienza, nel nostro amarci originario ed immediato e nella Volontà che ne scaturisce.

Pensieri di Dio in atto, siamo da Lui pensati simili a Sé, liberi e razionali, dotati della capacità di modificare la Sua creazione, nella attesa di poter tornare all’Unità originaria, col nostro bagaglio di ricchezza o miseria che in Lui sarà riscattato e glorificato.

 

Termino con una citazione di S.Agostino, che sulla SS.Trinità ha scritto un’opera in quindici libri,  che conferma, almeno in parte, quanto detto:

Solutio quaestionis. Mens et notitia eius et amor tertius imago Trinitatis.

12 …Itaque mens cum se ipsa cognoscit, sola parens est notitiae suae; et cognitum enim et cognitor ipsa est. Erat autem sibi ipsa noscibilis, et antequam se nosset; sed notitia sui non erat in ea, cum se ipsa non noverat. Quod ergo cognoscit se, parem sibi notitiam sui gignit; quia non minus se novit quam est, nec alterius essentiae est notitia eius, non solum quia ipsa novit, sed etiam quia se ipsam sicut supra diximus…Idemque appetitus quo inhiatur rei cognoscendae, fit amor cognitae, dum tenet atque amplectitur placitam prolem, id est notitiam, gignentique coniungit. Et est quaedam imago Trinitatis, ipsa mens, et notitia eius, quod est proles eius ac de se ipsa verbum eius, et amor tertius, et haec tria unum atque una substantia. Nec minor proles dum tantam se novit mens quanta est; nec minor amor, dum tantum se diligit quantum novit et quanta est.

 

(Soluzione del problema: lo Spirito, la conoscenza e l’amore di sé, immagine della Trinità.

Perciò, quando lo Spirito conosce se stesso, esso solo genera la sua conoscenza, perché esso è insieme il conosciuto e il conoscente. Esso era conoscibile a sé, anche prima che si conoscesse, ma non era in esso la conoscenza di sé, quando esso non conosceva se stesso. Per il fatto che si conosce, genera una conoscenza uguale a sé, perché non si conosce meno di quello che è, e la sua conoscenza non è quella di un’altra essenza, e questo non solo perché è esso che conosce, ma anche perché conosce se stesso, come abbiamo detto prima… E questo stesso desiderio, che spinge verso la cosa da conoscere, diventa amore della cosa conosciuta quando possiede ed abbraccia questa prole in cui si compiace, cioè la conoscenza, e la unisce al principio generatore. Ed ecco una certa immagine della Trinità: lo Spirito, la sua conoscenza che è la sua prole ed il verbo generato da esso, e, in terzo luogo, l’amore; e queste tre realtà fanno una sola cosa ed una sola sostanza. Né è inferiore la prole allo Spirito, fintantoché questo si conosce in maniera adeguata al suo essere; né è inferiore l’amore, fintantoché lo Spirito si ama in misura adeguata alla conoscenza di sé ed al suo essere.)

De Trinitate libri quindecim, IX.

Questo libro è stato terminato di scrivere Domenica 18 maggio 2008, festa della SS.Trinità