Organizzazione dello Stato: una proposta per l’Italia

Abbiamo quindi visto come gran parte dei mali endemici che affliggono da cinquant’anni questo nostro Paese sono dovuti ad una serie di errori architettonici commessi nella costruzione costituzionale delle nostre Istituzioni.

 

Errori strutturali del sistema italiano

La Costituzione italiana nasce dal compromesso tra forze democratico-cristiane, laico-liberali e social-comuniste. Ciascuna delle tre componenti temeva la presa del potere dell’altra o degli altri, ed era interessata pertanto alla limitazione ferrea dei poteri dell’esecutivo. Per di più, si era appena usciti dalla tragica esperienza della dittatura fascista, che nessuno si augurava di dover ripetere. Sembrò allora prudente emanare una Costituzione non sul modello Presidenziale americano, rispettosa della teorizzazione di Montesquieu, ma su quello assembleare frutto della Rivoluzione francese, dove il potere esecutivo era controllato dal Parlamento. Non valse a distogliere i Costituenti dallo sciagurato intento, il pensiero che la Costituzione americana durava intatta da oltre due secoli, mentre il modello francese non aveva resistito un decennio, sotterrato da Napoleone, la prima volta, e poi, successivamente, risorto e ricaduto in un alternarsi di regimi più o meno autoritari (non si poteva ancora prevedere l’ingloriosa fine della Quinta Repubblica di Francia ad opera non tanto del Generale De Gaulle, ma della propria inefficienza): così si volle fare, e così si diede origine a quei mali che sono sotto gli occhi di tutti.

 

Primo: debolezza intrinseca del potere esecutivo

Il potere esecutivo è completamente sottomesso a quello legislativo. Non solo viene nominato dalle Camere (solo formalmente lo è dal Presidente della Repubblica, che, in questa sua prerogativa, svolge funzione assolutamente notarile), ma è sottoposto al potere di veto da parte delle Camere in ogni suo atto e può essere dalle Camere fatto cadere in ogni momento.

Lo strapotere del legislativo si è trasformato, anno dopo anno, nello strapotere dei suoi componenti, cioè dei partiti, che hanno fagocitato tutte le funzioni direttive dello Stato.

Solo negli ultimi anni si è iniziato ad indicare il nome del Premier, cioè del candidato alla Presidenza del Consiglio, sulla scheda elettorale, per affermare in qualche modo una sua investitura popolare ed attribuirgli una qualche forma di indipendenza dai partiti e dalle Camere. Ma questa indicazione non ha valore istituzionale, può venir disattesa addirittura subito o comunque in un secondo momento.

La formazione del Governo è comunque sottoposta ai veti incrociati dei partiti, talché i Ministri sono in grande maggioranza scelti tra i membri dei partiti stessi, e non tra tecnici esperti di amministrazione e dirigenza, come avviene dove essi sono scelti dal Capo del Governo eletto.

Questo limitato potere dell’esecutivo viene portato al parossismo attraverso una struttura del Governo, che vede ogni singolo ministro signore e sovrano indipendente nel suo settore di competenza, mentre alla Presidenza è dato solo un compito di coordinamento e di guida morale e formale. In questo modo viene ancor più esaltato il potere dei partiti, che influiscono direttamente sui loro ministri in carica.

In altri paesi, vedi al solito gli Stati Uniti, l’intero potere esecutivo è nelle mani del Presidente.

 

Secondo: intervento del potere legislativo nelle leggi di spesa

Le camere non solo approvano la Legge finanziaria, ma, per consolidata consuetudine, la modificano a loro piacimento, fino allo stravolgimento, aggiungendo e togliendo voci di spesa, fino alle più particolareggiate. Inoltre, in ogni momento, a loro discrezione, possono emanare leggi di spesa, visto che non esiste alcuna distinzione formale tra queste e le leggi vere e proprie.

 

Terzo: iniziativa del potere esecutivo per le leggi di entrata

In contrapposizione all’intervento del legislativo nelle leggi di spesa, resta invece normalmente a carico dell’esecutivo proporre e formulare, e nella maggior parte dei casi addirittura emanare sotto forma di decreto legge, le leggi di entrata, indispensabili per far fronte alle conseguenze dilapidatorie delle decisioni del legislativo.

 

Quarto: assegnazione di poteri esecutivi al potere giudiziario, libero da ogni controllo

Di questo, che è il peggiore dei mali, abbiamo già parlato nel capitolo dedicato alla Giustizia, e non diremo altro.

 

 

 Conseguenze catastrofiche di questi errori

 

  • Aumento incontrollato della spesa pubblica e del numero dei politici

Come chiaramente previsto da Montesquieu, l’interferenza del legislativo nella formulazione delle leggi di spesa (chiamiamo così la definizione diretta e puntuale delle singole spese, non le regole generali attraverso le quali conformare i modi di spesa, poiché queste sono assolutamente di spettanza del legislativo), ha come conseguenza l’ampliarsi a dismisura di questo potere.

Ma, la natura rappresentativa del potere legislativo, cioè la sua frammentazione nei suoi singoli membri, ciascuno rappresentante di una piccola porzione dell’elettorato, ha come conseguenza che l’aumento del potere del legislativo è concepito come aumento del potere dei suoi singoli membri.

Ogni singolo deputato ha uno stesso, grande interesse: quello di essere rieletto, facendo così perdurare il proprio stato. Per questo egli ha bisogno di due cose: un apparato di persone fedeli che lavorano per lui e il favore dei propri elettori. Ecco allora, come conseguenza, non solo l’attribuzione diretta e smodata dei propri compensi e dei propri privilegi, ma anche l’aumento incontrollato degli apparati controllati, al servizio dei politici ed indispensabili alla loro rielezione ed al perdurare del loro potere, e dei compensi attribuiti a questi apparati, anch’essi smodati e scandalosi. Questo ha fatto aumentare a dismisura il costo della politica, o meglio dei politicanti, e la numerosità degli organi e del corpo politico, la cosiddetta casta.

A questo si aggiunga che, per assicurarsi la rielezione, il legislatore utilizza direttamente i soldi dell’elettore per gratificarlo di privilegi e regali, da questi pagati: ecco così la distribuzione a pioggia della spesa dello Stato, senza un disegno, senza una logica se non quella perversa del potere. Infatti, ogni singolo deputato non ha interesse tanto in una spesa rivolta erga omnes, cioè nell’interesse generale, ma in provvedimenti nei quali possa essere riconosciuto il suo personale intervento, e che gli assicurino la gratitudine dei beneficiati: ecco allora i provvedimenti su singoli casi locali e settoriali, decisi senza logica complessiva, nel mercato delle vacche nel quale ogni deputato si assicura l’appoggio altrui promettendo in cambio il proprio.

A questa dilapidazione del denaro pubblico nulla può contrapporre l’esecutivo, assolutamente asservito al legislativo, che lo può azzittire in ogni momento.

 

  •  Conseguente aumento della tassazione

Al Governo non resta che la ricerca affannata di sempre nuove entrate per coprire la sete insaziabile da cui è affetto il sistema così costruito.

Ed ad ogni nuova entrata corrisponde un maggior aumento delle uscite, perché chi spende viene incoraggiato nel proseguire a farlo, dalla promessa dei nuovi fondi reperiti, e dai vantaggi che gli si prospettano nell’utilizzo in proprio dei soldi freschi.

Come dare soldi ad un drogato od ad un vizioso innesta un ciclo senza fine, a livelli sempre più alti di spesa, così dar soldi a questo sistema non ha mai portato ad una diminuzione dei debiti o del deficit, ma ad un continuo aumento dei due.

In questo modo il circolo perverso si chiude, intorno al collo del povero contribuente. Il quale, se in qualche modo cerca di difendersi tentando di non farsi derubare, nell’unico modo possibile, che è quello di nascondere i propri averi agli occhi dei rapinatori, viene immediatamente, da questi furfanti, additato come delinquente agli occhi dei suoi confratelli di sventura, mentre un intero esercito di addetti alla riscossione, dotati di ogni mezzo di spionaggio e di violazione della riservatezza del cittadino, “ciechi strumenti di occhiuta rapina”, gli viene scatenato addosso, allo scopo di non privarsi neppure delle ultime briciole di bottino, tanto indispensabile al sistema per mantenersi negli agi e nella sicurezza.

 

  • Il potere dei partiti

Per accrescere il loro potere e per resistere meglio alla concorrenza di aspiranti sostituti, i singoli rappresentanti del popolo si radunano in gruppi, denominatisi partiti, i quali, sempre meno differenti per base ideologica o programmatica, divengono sempre più strumenti di potere dei loro aderenti.

La cosa deleteria al massimo è quella che sono i partiti a dettare i comportamenti politici dei deputati, e chi comanda nei partiti sono i loro componenti, iscritti e quadri, con le regole di gestione interna che questi apparati vogliono o non vogliono darsi per conto proprio.

Il risultato è quello che a comandare non è più il popolo che vota per i deputati, ma coloro che comandano i partiti di cui i deputati fanno parte.

Così il popolo è chiamato ogni cinque anni a votare ed ad affidare un mandato alla cieca a chi poi si comporta come vuole, rispondendo non a lui, ma ad altri, il cui modo di accesso al potere non è controllato da regole democratiche.

Come i partiti, od ancora peggio, si sono sviluppati altre organizzazioni di gestione del potere, la cui formazione o controllo sfugge al sistema democratico: i sindacati per primi, ed ora anche le varie associazioni dei consumatori, degli inquilini, dei pensionati ecc., che nessuno elegge e di cui nessuno conosce la composizione, ma che ci vengono presentate tranquillamente come legittimate a rappresentare gli interessi del popolo, perché nate per gemmazione dalle organizzazioni già esistenti, i cui posti a sedere risultano tutti occupati.

Parallelamente, quindi, al moltiplicarsi degli organismi ufficiali, si ha uno svilupparsi di organi ufficiosi, cui il sistema conferisce, senza troppo chiasso, sempre più ufficialità.

 

 

Rimedi possibili

  • Necessità della conoscenza della diagnosi

Il popolo italiano è da lungo tempo conscio che qualche cosa nel sistema non vada: l’insoddisfazione è diffusa e manifestata in vari modi. Ma i rimedi non si trovano.

La possibilità di introdurre rimedi è infatti subordinata anzitutto alla conoscenza diffusa della diagnosi: occorre che la gente si renda conto della natura del problema, perché esso possa essere risolto. Nessuna vera soluzione ci si può aspettare dal mondo politico, che è l’unico beneficiario di questo stato di cose. L’ignoranza della diagnosi provoca la varietà delle ricette.

Così c’è chi spera nella secessione, volendo rifare nel piccolo quello che non funziona nel grande; chi vuole mettere in galera i politici, affidando la soluzione al più corrotto ed inefficiente dei tre poteri, quello giudiziario; chi si limita a non voler più pagare le tasse, sperando che basti affamare la bestia per ucciderla. Ma in questa confusione sguazzano ed ingrassano i politici di professione, che trovano modo di eternare il loro potere, favorendo finte soluzioni a veri problemi.

 

Il cosiddetto federalismo, per ora, è solo servito a moltiplicare i posti e le prebende, sdoppiando competenze, incarichi e relativi compensi (*); il giustizialismo vociante è stato per ora appoggiato da chi vedeva in esso un mezzo sbrigativo per sedersi a tavola al posto di concorrenti pericolosi, mentre, altrimenti, ha portato a proposte insignificanti o peggiori del male che vuole correggere  (**); la speranza nella diminuzione delle imposte è sempre mortificata dall’aumento inarrestabili delle uscite, che dipende dalla struttura stessa del potere che dovrebbe auto correggersi, cosicché si tolgono imposte da un lato e se ne aggiungono dall’altro, in un gioco senza fine.

 

(*) Non sono contrario al federalismo, ma solo se esso consiste in un effettivo cambiamento, non nella ripetizione in piccolo del sistema nazionale: pertanto occorre impedire che le assemblee locali mettano le mani sui soldi pubblici, ma siano, invece, responsabili delle imposte e divengano severi controllori delle spese effettuate dal potere esecutivo (Sindaci, Giunte e Presidenti), attraverso l’assegnazione dei fondi.

 

(**) Mi riferisco alle proposte, recentemente presentate, di impedire l’accesso al Parlamento di inquisiti o condannati, o di chi ha già ricoperto l’incarico: queste proposte consistono in limitazioni del potere dell’elettore, e non in effettivo cambiamento del sistema; i nuovi arrivati sono di solito più affamati e meno capaci dei vecchi, mentre l’esclusione di inquisiti e condannati fornisce un comodo modo per chi gestisce il potere inquisitorio di selezionare la classe dirigente. Esiste già un modo per ottenere il risultato: non votare per chi non si vuole. Renderlo obbligatorio, significa solamente forzare gli altri elettori ad un comportamento da loro non gradito.

 

Cosa si potrebbe fare

E’ chiaro a questo punto che il rimedio a questo stato di cose non può limitarsi alle varie modifiche estemporanee del sistema legislativo o alla diminuzione occasionale di qualche spesa, ma sta nella correzione degli errori istituzionali, causa prima dei malfunzionamenti denunciati.

I sistemi possibili sono numerosi, tanti quanti quelli delle democrazie funzionanti, ma dovremmo trovare una soluzione che si adatti al sistema italiano, senza apportare eccessive modifiche, ma che corregga radicalmente i principi sbagliati del sistema attuale.

Il modificare il sistema attraverso un numero limitato di interventi rende più facile e più facilmente accettabile la realizzazione delle modifiche.

Una proposta facilmente realizzabile sarebbe quella di differenziare i compiti delle due camere, attribuendo ad una di esse la funzione legislatrice, ed all’altra il controllo del governo.

La camera legislativa può essere eletta con sistema proporzionale, moderato da soglie di sbarramento del 3-5%; quella, diciamo così, esecutiva, va eletta con sistema brutalmente maggioritario, cioè che garantisca la maggioranza assoluta dei seggi allo schieramento, possibilmente formato da un solo partito, che raggiunge la maggioranza relativa di almeno il 40% dei voti.

I compiti delle due Camere sono, a questo punto, ben delimitati: quella legislativa vota le leggi e i provvedimenti fiscali, cioè decide l’entità delle entrate.

Quella esecutiva vota la fiducia al Governo e approva o disapprova (non formula od emenda) le leggi di spesa da questo presentate.

Il capo del Governo viene eletto direttamente dal popolo, con un sistema come l’attuale, e, se sfiduciato dalla Camera esecutiva, si torna a votare per Governo e Camera contemporaneamente, secondo il principio dell’aut unum stabunt, aut unum cadent: stanno o cadono assieme.

 

  • Vantaggi della soluzione proposta

Da un lato si garantisce la rappresentatività del potere legislativo, dove tutte le realtà del Paese di una minima consistenza sarebbero presenti: è giusto che le Leggi, cioè le regole generali del gioco, siano decise con il concorso più ampio.

Dall’altro si avrebbe un Governo più efficiente e veloce nelle sue realizzazioni, comunque sempre controllato da una camera (non si sa mai, che uno può sempre impazzire).

Però si toglierebbero le mani dei partiti dai soldi pubblici, affidati al solo Governo, dove le responsabilità sono in un numero minore di mani, e quindi più chiare, sotto il controllo della Camera  legislativa per quanto riguarda l’entità globale della spesa.

A loro volta i deputati del legislativo sarebbero interessati al massimo rigore nel determinare l’entità delle entrate, perché l’elettorato li farebbe responsabili proprio di queste.

 

In che modo si potrebbe procedere

Penso sia assolutamente inutile sperare che i rimedi elencati vengano dalla classe dirigente al potere (di tutti gli schieramenti): troppo sono i vantaggi che i singoli parlamentari godono dalla situazione attuale, e dei quali dovrebbero privarsi.

L’unica via possibile mi sembra quella dei referendum propositivi, alla svizzera, che noi però non abbiamo, essendosi i nostri politici premuniti di toglierci ogni reale possibilità di controllarli.

Occorre che una richiesta di questo genere divenga generalizzata e trasversale, perché solo domande dirette rivolte alla gente possono avere quelle risposte drastiche che si rendono necessarie i questi momenti.

L’opposizione al referendum propositivo si giustifica dicendo che questo è troppo pericoloso, essendo il popolo bue per definizione, e quindi incapace di distinguere il proprio bene. Ma sarebbe sufficiente limitare i referendum a proposte avanzate da una percentuale rilevante di parlamentari (es. il 10%), ed organizzati a tesi contrapposte o multiple, presentate dalle forze politiche in concorrenza fra di loro (non solo, quindi, su una sola tesi come ora, da accettare o respingere), per limitare la pericolosità della scelta popolare, che sarebbe comunque in qualche modo guidata e limitata.

Se la gente fosse consapevole di questo, la pressione dell’opinione pubblica potrebbe indurre il mondo politico a concedere la possibilità di referendum, ed i giochi, allora, sarebbero fatti, perché il Popolo italiano, fino ad ora, ha dimostrato di non essere così sciocco, nelle sue scelte, come il mondo politico vuole farlo credere.

Sembrerebbe, inoltre, indispensabile, poter sottoporre a referendum tutto ciò che riguarda la struttura stessa del potere politico, dalla struttura generale dello Stato, che non si sa perché deve essere decisa solamente dai partecipanti al banchetto, e non dal Popolo sovrano, alla numerosità e tipologia delle assemblee, fino al trattamento economico che i nostri rappresentanti oggi liberamente si attribuiscono (in un autentico e surreale conflitto di interessi che nessuno denuncia).

 

Riassumendo

I punti fondamentali di una riforma dovrebbero essere:

  • Separazione e indipendenza del potere esecutivo dal legislativo
  • Possibilità di veto da parte dell’esecutivo su atti del legislativo
  • Attribuzione degli atti di spesa al solo esecutivo
  • Attribuzione delle leggi di entrate al solo legislativo
  • Proibizione della attribuzione autonoma di trattamenti economici, privilegi o vantaggi da parte degli organismi politici (sottoponibili, comunque, a referendum dei cittadini interessati)

 

Il tutto può essere ottenuto attraverso una serie di referendum a tesi, definite dalla forze politiche, ma scelte dal Popolo.

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