la Società: Famiglia, matrimonio, società di fatto.

Col matrimonio si deve perpetuare se stessi nell’eternità, lasciando una successione ininterrotta di figli e nipoti che dopo di noi ci sostituiranno nella funzione di devoti servitori del dio…

Platone,  Leggi, VI 773E.

 

 

Origine e natura del matrimonio

 

  • La famiglia come prima organizzazione naturale

…l’uomo, infatti, è per sua natura più incline a vivere in coppia che ad associarsi politicamente, in quanto la famiglia è qualcosa di anteriore e di più necessario dello Stato, e l’istinto di procreazione è più comune tra gli animali. Ma mentre per gli animali la comunità giunge solo alla procreazione, gli uomini si mettono a vivere insieme non solo per generare figli, ma anche per provvedere alle necessità della vita. Fin dall’inizio, infatti, si dividono le funzioni: quelle del marito sono diverse da quelle della moglie, quindi si aiutano l’un l’altro, ponendo in comune le specifiche qualità personali.

Aristotele,  Etica Nicomachea, 13, 1162 A, 17-24.

 

La famiglia è senza dubbio una società naturale, cioè che si produce in virtù di quella che chiamiamo legge di natura, qualsiasi cosa questa possa essere considerata: la disposizione di una Mente superiore, un succedersi regolare di eventi simili, una predisposizione genetica dovuta al caso.

 

Anche l’esistenza della società e dello Stato stesso sono riconducibili ad una legge di tal genere, e pertanto non è possibile prescindere da una tale prescrizione di fatto, senza porre teoricamente in pericolo ogni altra forma di convivenza umana.

 

Resta però inteso che una organizzazione famigliare stabile, formata da padre, madre e figli, è un tipo di organizzazione che ritroviamo su tutta la terra, ed in tutte le epoche, con qualche variante, normalmente nel numero delle madri (ma, in organizzazioni favolose cosiddette matriarcali, era variabile il numero dei padri). Il matrimonio è un istituto legale, cioè definito da una legge, scritta od orale, che riconosce questa società naturale, nell’ambito di società organizzate.

 

L’unione di un uomo e di una donna comporta un parto, e questo è cosa divina. Nell’essere vivente mortale vi è questo di immortale: la gravidanza e la generazione. Ma queste non si possono produrre in ciò che sia disarmonico…

Platone,  Simposio, 206 C-D.

 

Per contestare quanto detto, si può sempre fare riferimento a qualche tribù amazzonica o a qualche gruppo aborigeno del quale non si ha più traccia. Non vale la pena rispondere a simili obiezioni.

 

  • Natura del matrimonio e ruolo dello Stato

Il matrimonio è una istituzione laica per eccellenza, presente in tutti gli Stati ed in tutte le civiltà, con caratteristiche ben precise, che si ripetono ovunque nel loro significato strutturale.

Esso è un contratto in cui lo Stato (o la società tribale) non si rende solo garante, come nei normali contratti privati, ma si presenta come parte interessata dell’accordo, concedendo benefici e vantaggi in cambio di contropartite da parte dei coniugi.

La natura del matrimonio civile è quella di un contratto a tre, o, paradossalmente, quella di un contratto a due, ma dove i due contraenti non sono i due coniugi, come normalmente si crede, bensì da una parte lo Stato e dall’altra i coniugi.

E qual è il motivo di questa partecipazione dello Stato al contratto matrimoniale?

Lo Stato ha due precisi interessi da difendere, che sono:

  • una organizzazione famigliare stabile che garantisca il mantenimento e l’educazione dei figli fino alla loro indipendenza;
  • la definizione di rapporti interpersonali certi, che garantiscano la certezza della linea ereditaria (cosa importantissima in società contadine).

Questi due interessi, il primo dei quali di carattere vitale per una società, inducono lo Stato a concedere vantaggi ai coniugi ed alla famiglia che si forma, in cambio di impegni da parte dei due (o dei più, nel caso di società e famiglie poligamiche) a mantenere stabile il legame contratto, almeno nelle forme previste dalla legge.

 

  • Matrimoni non fecondi

Una delle obiezioni avanzate contro la tesi che la caratteristica essenziale del matrimonio è la procreazione, sottolinea che il matrimonio viene consentito anche a coppie non feconde, ed in particolare a persone anziane, per le quali la non fecondità è certa.

Per quanto riguarda la natura del matrimonio, è giusto far notare che in molte civiltà la non fertilità dello stesso è motivo di annullamento, mentre per la Chiesa è nullo il matrimonio non consumato.

La non fecondità, essendo normalmente imprevedibile, specie in passato, non era contemplata come causa di impedimento, mentre lo era l’impotenza. Infatti al concetto di fertilità si sostituiva tradizionalmente quello di rapporto sessuale, più facilmente controllabile.

Per quanto riguarda il matrimonio tra anziani, questo è evidentemente consentito come eccezione benevola, pur se strettamente non dovuta, anche perchè esso non crea alcun problema di disincentivazione al matrimono tra giovani, ed anche perché, tradizionalmente, non si riteneva corretta la convivenza tra non sposati di diverso sesso.

Le leggi, inoltre, definiscono il caso generale, e non possono contemplare gli infiniti casi particolari, che si presentano come eccezioni, e che non ne modificano la natura e gli scopi fondamentali.

 

 

  • Le coppie di fatto

La natura di incentivo e di risarcimento dei benefici offerti ai coniugi da parte dello Stato, rende assolutamente illogica la pretesa che esso conceda gli stessi benefici ad altri contratti privati che non offrono gli stessi vantaggi per l’organizzazione sociale.

In particolare non ha alcun senso la pretesa che tali benefici siano estesi alle cosiddette coppie di fatto, che rappresentano proprio quel comportamento che lo Stato si propone di disincentivare quando istituisce il matrimonio.

 

Se la zia Polly offre a Tom Sawyer un cesto di ciliegie per pitturare la staccionata, e, una volta che questi accetta, offre un cesto analogo al primo che passi per strada, state pur sicuri che, se Tom se ne accorge, la staccionata resterà a mezzo dei lavori, e Tom preferirà il nuovo mezzo per ottenere di spanzarsi di ciliegie.

 

La considerazione che le unioni di fatto sono oggi quasi altrettanto, se non più numerose dei matrimoni regolari, non induce ad estendere a queste i benefici del matrimonio, ma semmai alla considerazione esattamente contraria, e cioè che ormai il matrimonio regolare è meno conveniente dell’unione di fatto, e pertanto andrebbe maggiormente incentivato, rimanendo intatto l’interesse della società ad unioni stabili.

Solo cambiando il modello sociale ideale si potrebbe convenire diversamente, ma per ora non si vedono modelli alternativi alla famiglia per la corretta educazione dei figli, né tali modelli sono visibili in altre società.

 

Una giustificazione alla richiesta da parte di una coppia di fatto di essere riconosciuta legalmente, potrebbe aversi in quei casi nei quali il matrimonio non è possibile per ragioni legali (ad es., due persone in attesa di divorzio): ma in realtà questa richiesta dovrebbe rivolgersi piuttosto alla modifica di tali ragioni, che, se permangono valide, sono appunto così volute perché ritenute giuste.

 

 

  • Le unioni contro natura (*)

(*) Uso appositamente questa espressione, perché tali sono le unioni omosessuali, checché se ne dica.

Vi è poi la richiesta di matrimonio per coppie omosessuali. Anche qui la considerazione resta analoga. Rimanendo salvo il diritto degli omosessuali di fare i fatti loro a casa propria, o nella propria biancheria intima, non si vede quale interesse debba muovere lo Stato a concedere a coppie naturalmente, e non incidentalmente, sterili i benefici del matrimonio, benefici che erano stati concessi nel solo interesse della prole, e non dei coniugi in sé.

Resta poi da discutere se la libertà di accoppiarsi contro natura sia un comportamento che lo Stato debba incentivare ed incoraggiare. Lo stato ha il diritto-dovere di incentivare i comportamenti che reputa benefici alla società, lasciando liberi gli altri. Questo principio, utilizzato in continuazione, viene negato come discriminatorio dai laicisti quando i comportamenti incentivati non corrispondono ai loro.

Se infatti qualcuno, seguendo la natura, stabilisse la legge in vigore prima di Laio, affermando che era giusto non accoppiarsi con giovani di sesso maschile, per le relazioni sessuali, come se questi fossero donne, e portasse la testimonianza della natura degli animali mostrando che nessuno di loro maschio tocca a tale scopo un maschio perché è contro la natura, userebbe forse di un argomento persuasivo, ma in assoluto disaccordo con quanto si usa fare nei vostri stati.

Platone,  Leggi, 836 C.

 

Comunque, i Greci antichi, presso i quali l’omosessualità era assolutamente normale e non biasimata, anche quando si prolungava nella vita in coppie stabili, non avevano istituito il matrimonio tra omosessuali. Ma i Greci erano logici, ed i laicisti no.

 

  •  Discriminazione: un falso problema

A favore della legalizzazione del matrimonio tra omosessuali viene accampato l’argomento che, in caso contrario, vi sarebbe discriminazione nei loro confronti, discriminazione che le nuove formulazioni dei diritti umani (che si susseguono sempre più celermente, man mano che i diritti fondamentali vengono dimenticati e calpestati) vogliono impedire.

Ma discriminazione si ha quando si tratta in maniera differente due soggetti, in presenza di identiche condizioni e per aspetti non attinenti le differenze tra i soggetti discriminati. In questo caso non ci troviamo a parità di condizioni, poiché, abbiamo visto, l’aspetto determinante del matrimonio è la possibilità della prole, cosa che non si verifica nel caso di unioni omosessuali. Inoltre, poiché il matrimonio è una forma di regolamentazione dei rapporti sessuali, non sussiste discriminazione se esso si differenzia per aspetti a questi attinenti, cosa che avviene appunto nel caso di rapporti omosessuali.

Quest’ultimo punto è forse da chiarire: non si ha discriminazione quando la norma in questione riguarda aspetti influenzati proprio dagli elementi di differenza tra i soggetti che si pretende discriminati.

Ad esempio, non è discriminazione contro chi è senza gambe una norma riguardante l’uso delle scarpe, che differenziasse i due casi, tra chi ha le gambe  e chi non le ha. E’ invece discriminante una norma che creasse differenza per aspetti nei quali l’avere o il non avere le gambe è indifferente, quali, ad esempio, il poter telefonare.

Così come non è discriminante nei confronti dei maschi prevedere il trattamento di gravidanza solo per le femmine, ma lo sarebbe se si trattasse della cura del raffreddore.

 

  • Ennesima contraddizione del pensiero laico

A questo proposito vorrei far notare l’ennesima contraddizione del pensiero laico: nel caso dell’omosessualità i laici pensatori sembrano credere che l’effettivo esercizio di un diritto (di far ciò che si vuole) necessiti dell’intervento dello Stato come dispensatore di benefici. Esattamente il contrario di quel che sostengono quando si parla di libertà di insegnamento (e, simmetricamente, di apprendimento), per il quale invece essi rifiutano ogni onere a carico dello Stato. Con la differenza che nel secondo caso si parla di un vero diritto naturale, riguardante il diritto di pensiero e di opinione, per il quale non mostrano alcuna considerazione, riservando al libero esercizio dei genitali quel che negano al cervello. Sempre rispettosi dei veri valori, che riconoscono dal libero esame di se stessi.

 

 

Tre grandi questioni

Gli argomenti trattati portano in evidenza tre grandi questioni: la legge naturale, i diritti individuali e l’origine dei principi etici. Dedichiamo un paragrafo a ciascuno dei tre.

 

La legge di Natura

Affrontiamo per primo il tema della legge naturale, che i difensori dei diritti degli omosessuali sono tentati di trattare come un concetto privo di senso, in presenza di desideri o pulsioni individuali difformi dai comportamenti cosiddetti normali, interpretati solamente come comportamento della maggioranza (magari momentanea).

La legge naturale presenta due aspetti, all’apparenza nettamente distinti: quello relativo ai fatti fisici del mondo inorganico e del mondo organico degli esseri cosiddetti inferiori (quello vegetale e quello di quasi tutti gli animali) dove la legge è cogente ed ineluttabile, razionale ed esprimibile matematicamente; quello degli animali superiori e dell’uomo, dove i comportamenti possono essere influenzati da decisioni individuali volontariamente difformi dalla legge stessa.

 

  • La legge naturale come fondamento della legalità laica

Ma la legge naturale, interpretata come il comportamento spontaneo della stragrande maggioranza degli individui di una specie, conforme alla miglior possibilità di sopravvivenza e sviluppo della stessa, è un concetto al quale il pensiero laico non è assolutamente in grado di soprassedere.

Tolta questa, infatti, non resta più alcun aggancio cui giustificare l’esistenza di quei diritti che essi accampano ad ogni piè sospinto. La società e lo Stato stesso, ed i principi informatori delle leggi, del giusto, dell’utile e dell’opportuno, non avrebbero alcuna giustificazione, eliminati i principi metafisici da cui il laico vuole prescindere, se non li potessimo agganciare ad un principio di legittimazione naturale dato dal comportamento genetico.

Provate a chiedervi perché non debbo uccidere? ed a trovare una risposta che prescinda o da un principio morale superiore e spirituale, o dalla legge naturale che ci spinge alla preservazione della specie, e quindi ad una solidarietà disinteressata. Altra possibile risposta non c’è.

Se, cancellata la legge divina, si supera anche la legge naturale, non vi è più alcun limite alla azione dell’uomo nella difesa del suo proprio interesse individuale, anche contro il proprio simile.

 

  • Omosessualità come malattia o come vizio

Il comportamento omosessuale, in quanto difforme dalla funzionalità sessuale tesa alla riproduzione, ed a questa opponentesi, non può essere considerato se non come contro natura, e accettato (o, meglio, tollerato) solo se conseguenza di una malformazione genetica o fisica, o di un disturbo psichico, cioè come una malattia, possibilmente da curare.

La pretesa di considerarlo un comportamento assolutamente normale, come oggi viene sostenuto, dovrebbe farci apparire normale anche ogni altra malformazione fisica o psichica, che impedisca una funzionalità vitale, come la digestione, la respirazione o l’apprendimento. La funzione riproduttiva è, per la specie, altrettanto vitale di quelle elencate.

Ma io domando come si potrebbe guardarsi dagli amori per i bambini, maschi e femmine, e per le donne che sostituiscono l’uomo, e per gli uomini che fanno da femmina, cose dalle quali infinite conseguenze sono derivate agli uomini, per i singoli privatamente e per gli stati interi?

Platone,  Leggi, 836 A-B.

 

Inoltre, il comportamento omosessuale non deriva solo da incurabili tendenze genetiche, come pure si vuole far credere, ma consegue indubitabilmente anche a deformazioni culturali indotte dall’ambiente, e la civiltà greco-romana, in cui l’omosessualità attiva e passiva erano largamente diffuse assieme ai normali rapporti, destinati alla riproduzione, ne sta a riprova.

Questo ci fa capire come tali comportamenti possono essere sensibili alla incentivazione sociale, e rende opportuno leggi ed istituzioni disincentivanti di tali deviazioni.

 

…questa legge relativa all’usare secondo natura delle unioni per la procreazione dei figli, astenendosi dall’unione fra maschi ed evitando la soppressione deliberata del genere umano evitando che il seme sia gettato…dove non potrà trovare luogo adatto alle sue radici, e mai potrà assumere la propria natura capace di generare…Se una tal legge acquisterà permanenza e potere, …essa avrà con sé infinito numero di beni…

Platone,  Leggi, 838 E – 839 A.

 

  • Una cura efficace per l’omosessualità

Oggi, la difesa dei cosiddetti diritti dell’omosessualità viene affidata al pensiero laico, e laici ed omosessuali sono accomunati in un unico abbraccio (!).

Ma non sarà sempre così: il pensiero laico è una trappola mortale per chiunque sia diverso o sia percepito come tale.

Il pensiero laico difende, infatti, la prassi, ormai consolidata, di eliminare le malattie eliminando il malato (una volta, infatti, si curavano le malattie in favore dell’ammalato, oggi le si cura in favore dei sani, e l’ammalato viene eliminato assieme alla sua malattia); il laico veramente coerente finirà col chiedere, o col permettere, l’eliminazione dell’omosessuale ancora nella fase embrionale o fetale, non appena la scienza ce ne permetterà l’individuazione. I genitori infatti sono, per natura ed almeno per ora, dall’altra parte del fronte (quella degli eterosessuali), e, naturalmente, possono non gradire di avere un figlio incline a preferenze diverse dalle loro, e dunque provvedere al riguardo con i metodi offerti dall’emancipazione laica: l’aborto.

Nel frattempo anche l’eutanasia non dovrebbe essere  scartata a priori.

Questo non è solo sarcasmo. Oggi i laici sono culo e camicia (mai espressione fu tanto appropriata), con i gay di ogni ordine e grado, anche perché da lì essi sperano di raccogliere una buona messe di voti, che non sono invece ottenibili dai bimbi down o dai vecchi ormai incapaci, destinati perciò alla eliminazione precoce; ma una volta accettati i principi di soppressione della vita non degna di essere vissuta, basterà uno stormire di vento perchè nella lista dei non degni siano inscritti anche gli omosessuali.

 

  •  La castità è contro natura?

Nulla reparabilis arte lapsa castitas.

Iscrizione che ho letto sul soffitto del salone del tesoro nel castello di Neuschwannstein.

 

Nelle recenti manifestazioni a favore del matrimonio gay, questa scritta (la castità è contro natura), polemica con preti e suore, è stata uno dei motivi guida delle processioni laiche.

In effetti, potrebbe sembrare che, come ci si può opporre al comportamento omosessuale perché contrario alla riproduzione della specie, altrettanto dovremmo dire del comportamento dei religiosi, che, propugnando la castità assoluta, attuano anch’essi un comportamento non riproduttivo.

Sbrigativamente si può rispondere che preti e suore non pretendono di sposarsi, ma la questione è più complessa e merita alcune considerazioni.

La Chiesa ha sempre condannato la castità se intesa come mezzo per evitare la riproduzione: vedi la condanna dei Catari e degli Albigesi, che sostenevano una tale tesi, o l’annullamento del matrimonio, se non consumato.

Per i sacerdoti, invece, prevale una proibizione al matrimonio per la difesa di un interesse collettivo, legato alla loro missione pubblica: il matrimonio, come già sosteneva Platone, nella Repubblica, crea interessi di parte che, per chi ha funzioni di interesse generale, andrebbero evitati. Platone, per questo, proponeva l’abolizione della famiglia per i custodi, cioè per chi aveva funzioni di comando nella società, mettendone donne e figli in comune.

Non credo che, almeno quanto all’utile, si possa mettere in dubbio che non sia un sommo bene l’essere comuni le donne ed i figli, purché sia possibile…

Platone, La Repubblica, V, 459-462.

La Chiesa, istituzione in questo coerente con il pensiero platonico, abolisce nella propria organizzazione il matrimonio e proibisce anche i rapporti, perché non conformi con la sua morale. (D’altro canto, anche le donne in comune di Platone non avevano nulla di erotico: i rapporti erano regolati strettamente dall’autorità al solo scopo eugenetico e riproduttivo.)

Il mescolarsi gli uni con gli altri, o far qualsiasi altra cosa disordinatamente, non è lecito, né lo permetteranno i reggenti…E’ evidente che dopo ciò istituiremo delle nozze quanto più possibile sante; e sante saranno quelle più giovevoli.

Platone, La Repubblica, V, 515-525.

 

Nel caso, quindi, dei sacerdoti prevale un interesse generale, che non ha influenza sulla riproduzione per il numero esiguo dei casi. Differente è la questione per gli ordini religiosi dediti alla contemplazione: qui si potrebbe accampare un giudizio di comportamento contro natura. Ma in questo caso prevale una lunga tradizione occidentale, che parte dai greci, di esaltazione dell’ascetismo come superamento da parte dello Spirito delle pulsioni carnali. Valida o meno questa tesi, resta il fatto che qui non si chiede un matrimonio particolare, ma solo di poter fare quel che si vuole, anzi di non fare, e che, nel caso si parli di aiuti da parte della collettività o dello Stato a forme di tale tipo, questi non vengono dati in rapporto al comportamento ascetico, ma piuttosto alle varie funzioni sociali svolte da monaci e suore.

Per terminare, si potrebbe ricordare che in natura nessuna femmina è pervia se non in periodo fertile, salvo la donna. E’ quindi evidente che la natura prevede rapporti sessuali solo al fine della riproduzione, ed è quindi estremamente casta.

 

 

 I Diritti

Nel famoso libro di George Orwell, La fattoria degli animali, si trova un episodio divertente ed inquietante ad un tempo. Gli animali della fattoria, dopo aver scacciato gli uomini con una rivoluzione, affiggono l’elenco dei loro diritti ad un muro. Ogni mattina, tutti gli animali si radunano davanti a quell’elenco per darne pubblica lettura.

Ma, dopo un certo tempo, i più accorti tra di loro si avvedono che nottetempo l’elenco viene regolarmente manipolato, ed i diritti divengono sempre meno numerosi. Alla fine, di tanti diritti, resta solo la frase “Tutti gli animali sono uguali”. Un bel giorno anche questa viene modificata, e diventa: “Tutti gli animali sono uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri”!.

Così è stato della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, elaborata per la prima volta nel 1776 ed apparsa nella dichiarazione di indipendenza americana:

We hold these Truths to be self-evident, that all Men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty, and the Pursuit of Happiness.

(Noi riteniamo evidenti di per se stesse queste verità, che tutti gli Uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di certi inalienabili diritti, tra cui Vita, Libertà e Perseguimento della Felicità).

 

Anche questa dichiarazione è stata oggetto di attenzione di solerti manipolatori, che hanno agito in due sensi: da una parte hanno ristretto il numero dei titolari di questi diritti, dall’altra hanno allargato a tal punto il numero dei diritti, da farli divenire la lista della spesa e da far dimenticare i veri, originali Diritti dell’Uomo.

 

Da un lato, infatti, i Diritti dell’Uomo sono divenuti Diritti della Persona. Poco male, pensavano i più, visto che fra le due cose sussiste identità. Ma non è stato così: Persona, infatti, non corrisponde ad Uomo, nell’opinione dei moderni gestori dei Diritti. Persona è solamente un certo Uomo, dotato di speciali qualità definite di volta in volta da questo o da quello tra gli illuminati e laicissimi titolari della assegnazione di questo titolo.

Non si avvedono, o fingono di non avvedersi, che, se la qualità di Persona (o di Uomo) viene assegnata per legge o per decisione di qualcuno, tutta la sacralità dell’impianto dei Diritti su cui si basa la nostra civiltà, viene a cadere: a loro basta sentirsi moderni ed in sintonia con i tempi, e perisca l’embrione con tutti i filistei!

Dall’altro lato, quelli che erano i Diritti dell’Uomo, che avevano la caratteristica di essere Diritti reali, sempre esigibili, qualsiasi fosse il grado di sviluppo civile e sociale, perché non legati alla ricchezza od ai beni, ma solamente al riconoscimento della libertà del singolo, non soggetto alla prevaricazione di nessuno, sono stati annacquati in una lunga lista di altri pseudo-diritti, che non sono altro che le conquiste materiali della civiltà che si sviluppa, e che sono esigibili solamente se esiste ricchezza sufficiente a distribuirli: diritto alla casa, allo studio, alla salute ecc. Non c’è limite alla fantasia: ora si è giunti al diritto al matrimonio ad associazione casuale.

Questi nuovi diritti, diffusi in special modo dalla cultura sindacale di sinistra, mostrano questa caratteristica aporia: se esiste un diritto di avere qualche cosa, chi ha il dovere di darla? Se tutti gli uomini sono uguali ed hanno gli stessi diritti, chi sono quelli che devono dare, ad esempio, la casa a quelli che hanno, invece, diritto di averla?

La risposta è semplice: il dovere lo ha lo Stato. E così, questo Stato che deve dare tante cose a tutti, diviene sempre più forte, potente ed invasivo. E poiché lo Stato è alla fine fatto dalle gerarchie politiche e burocratiche, queste diventano sempre più ricche e potenti, e gli altri a poco a poco si scordano non solo dei diritti materiali, con i quali erano stati abbindolati, ma anche dei veri e reali loro diritti naturali, che lo Stato premurosamente si preoccupa di togliere loro per renderli tanto più felici!

 

Esemplare è il caso del Diritto al lavoro. Nel vero significato del termine, questo dovrebbe essere il diritto di ciascuno di fare il lavoro che vuole, senza impedimenti da parte dello Stato: invece viene inteso come il diritto di qualcuno di avere un posto retribuito ad oltranza, che lavori o no, a spese degli altri, mentre il singolo non può svolgere il lavoro che vuole, perché impedito da un sistema di concessioni e licenze distribuite discrezionalmente ed arbitrariamente dal potere pubblico!

 

Nel frattempo, le classi politiche vanno in pensione dopo due anni di lavoro, con retribuzioni che, mensilmente, sono pari a due anni di lavoro di un operaio, mentre i grandi burocrati ricevono in un anno stipendi che dieci operai non ricevono in una vita!

Altro che Versailles! Al Parlamento anche un valletto viene pagato come 3 ingegneri: sicuramente sarà stato scelto tra una eletta schiera di manutengoli, amanti e amanti degli amanti (o fornitori particolari) dei parlamentari che gestiscono in tal modo i nostri inviolabili Diritti ad avere tutto, ricevendolo dallo Stato, che lo paga con i nostri soldi, o con quello che resta di questi!

 

  • Il diritto alla felicità

Interessante è vedere come viene trasformato, in salsa statalista, il diritto alla libera ricerca della felicità. Questo, in ottica liberale, significa che ciascuno è libero di cercare di essere felice come crede, anche divenendo gay o monaco trappista: se poi la felicità gli sfugge, sono fatti suoi.

In ottica statalista, esso viene trasformato, tout court, in diritto alla felicità , cioè ciascuno ha diritto ad essere felice, per opera dello Stato, che deve metterlo nelle condizioni di esserlo. In breve, il diritto diviene un obbligo, e ciascuno deve essere felice, così come lo Stato pensa che si debba. L’obbligo dello Stato a rendere tutti felici diviene l’alibi per ogni decisione autoritaria contro l’individuo recalcitrante, che giunge fino alla soppressione di quegli individui che felici, ahimè, non possono essere più.

In questa chiave si legge anche la richiesta di matrimonio gay: il gay non si deve limitare a fare ciò che vuole, come prevede il suo diritto, ma richiede l’intervento dello Stato che adempia al suo dovere di renderlo felice. Non importa, poi, se lo Stato, in realtà, interviene solo dove l’interesse elettorale più lo richiama, e della felicità dei pochi e dei singoli indifesi poco gli cale.

 

 

 Origine dei principi etici

La discussione sui matrimoni variamente combinati, porta ancora una volta l’attenzione sulla natura e sull’origine dei principi etici che debbono reggere uno Stato.

Ed ancora una volta appare l’inconsistenza culturale del pensiero laico-radicale.

Dopo aver per un poco propugnato l’idea che lo Stato nulla ha a che fare con i principi etici, lasciati alla libera scelta del singolo, si sono accorti che questa posizione non regge, visto che, al contrario, la costituzione dello Stato necessita di principi su cui basarsi, altrimenti non si saprebbe da che parte si origini la necessità delle leggi e dello Stato stesso.

Allora si sono ritirati sulla posizione, leggermente più corretta, che il principio base che deve essere difeso è quello che ognuno è libero di fare quello che vuole, fintantoché non lede i diritti altrui. Anche questo, in realtà, non corrisponde affatto a quello che poi sostengono in altre occasioni, perché la difesa del più debole, principio sempre sostenuto, fino a che fa loro comodo, cioè fino a quando il più debole è uno che vota (possibilmente per loro), non si concilia con il fare quello che si vuole.

Tralascio poi tutte le difficoltà che insorgono nel momento che l’azione del singolo viene a ledere un diritto od un interesse altrui: chi e cosa debbono prevalere, in questo caso? Come stabilire una scala dei diritti, se non si ha un altro valore oggettivo di riferimento? Chi prevale tra crumiro e picchettante? Chi tra madre e figlio? Chi tra giornalista impiccione e politico sporcaccione?

Inoltre, resta sempre il problema dell’origine del principio: qualsiasi esso sia, fosse pure ognuno fa quel che vuole, ci si può sempre chiedere: chi l’ha detto e con quale autorità?

 

  •  Origine legale del principio etico

Alcuni sostengono che la definizione di Bene e di Male, di Giusto e di Ingiusto, deve essere lasciata alla sola legge. Parallelamente sostengono che tale definizione è quindi compito della sola politica e dei soli politici (e polemizzano con la Chiesa che vuol mettervi becco). Questa posizione  è di una debolezza eclatante, perché implicherebbe due cose:

  • al momento della definizione della legge, non si sa cosa sia giusto e cosa no, visto che la legge ancora non c’è: ma allora tanto vale fare le leggi traendo a sorte, poiché la legge diverrebbe giusta solo al momento della sua ufficializzazione, non essendovi differenza tra le varie ipotesi;
  • qualsiasi tentativo di modificare una legge sarebbe ingiusto, poiché la legge è il giusto per definizione.

 

Non occorre in verità proseguire oltre nella polemica, per scoprire l’acqua calda, e cioè che ciascuno di noi sa che il concetto di Giusto ed Ingiusto precede la formazione della legge, e quindi non è lo Stato né la Politica la fonte dell’Eticità, e non può essere ristretta ai politici la discussione di cosa è giusto o meno.

Tuttavia la legge vuole essere scoperta della verità: e se gli uomini, come ci sembra, non osservano sempre le stesse leggi, vuol dire che non sempre possono trovare questa verità che vuole la legge…Orsù, tu credi ingiuste le cose giuste e giuste le ingiuste, o giuste le giuste e ingiuste le ingiuste?

Platone, Minosse, 315 b, e, Laterza, Bari 1947, pp. 114-115.

 

Del giusto in senso politico, poi, ci sono due specie, quella naturale e quella legale: è naturale il giusto che ha dovunque la stessa validità, e non dipende dal fatto che venga o non venga riconosciuto; legale, invece, è quello che originariamente è affatto indifferente che sia in un modo o che sia in un altro, ma che non è indifferente una volta che sia stato stabilito.

Aristotele, Etica Nicomachea, V, 7, Rusconi, Milano 984, p. 209.

 

  • Origine maggioritaria del principio etico

Altra posizione è quella che Bene o Male li definisce la maggioranza: il Bene ed il Male sarebbero perciò variabili in funzione dello sviluppo sociale e della sensibilità dei più.

Gli stessi che sostengono questo, inveiscono contro quegli Stati nei quali esiste la pena di morte, o nei quali è ancora proibito l’aborto, o che vanno a caccia di balene.

In questo caso, il principio di maggioranza non va più bene, e si torna ad un principio etico assoluto (guarda caso, il loro). D’altro canto, questo principio lo sostengono solo per gli argomenti per i quali sono in maggioranza, e non lo sostengono più, a ragione, quando sono in minoranza.

In realtà, tutta la nostra civiltà si basa sul credere che Bene o Male siano indipendenti da minoranza e maggioranza, e che anche la maggioranza non possa recare ingiustizia ad un solo uomo. E senza questo principio, neppure i vari credo radicali e laici possono reggere più di un minuto, di fronte all’antico diritto del più forte.

Scrive John Stuard Mill, nel suo saggio sulla Libertà :

Quand’anche tutta la specie umana, meno uno, avesse un’opinione, e quest’uno fosse di opinione contraria, l’umanità non avrebbe maggior diritto d’imporre silenzio a questa persona, che questa persona, ove lo potesse, all’umanità tutta.

J.S.Mill, La Libertà e altri saggi, Bompiani, Milano 1946, p. 46

 

  • Origine naturale dell’eticità

Il senso del Giusto sta all’interno dell’uomo, il quale ne prova una percezione immediata ed inspiegabile.

Mi sembra questa l’unica via di uscita del pensiero laico per trovare una qualche risposta ragionevole al fatto che esista qualche cosa di giusto o di ingiusto. In questo ricalcano Kant, fino a quando il pensatore li abbandona per trovare ancora in Dio la fonte di questa presenza, conformemente all’antica dottrina agostiniana.

Ai laici non resta che parlare di princìpi scritti nei cromosomi, selezionati dalla natura col meccanismo darwiniano, cioè di quei principi di comportamento più consono alla conservazione della specie.

Salvo poi gettare a mare ogni concetto di legge naturale, quando questa non fa più comodo per ottenere qualche voto in più dalle varie comunità dei devianti e dei mutanti.

Ma la legge naturale più efficace resta sempre quella del più forte, e tolti di mezzo i valori metafisici, è sempre questa che riaffiora.

 

  • La soluzione classica occidentale

…lo Stato è lo sviluppo e la realizzazione dell’Eticità, ma la sostanzialità della stessa Eticità e dello Stato è la Religione.

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 552Rusconi, Milano 1996, p. 881.

 

Questa affermazione di Hegel, così lontana dal moderno sentire laico, è in realtà l’unica soluzione possibile al problema della fonte dell’Eticità: non sono né Legge, né Stato, né Maggioranza che possono definire cosa è giusto od ingiusto, ma la meditazione metafisica su Valori spirituali eterni, cioè la sfera religiosa dell’uomo, quale che sia la sua religione, compreso l’ateismo, che lo portano a credere in un Bene ed in un Giusto assoluti, che precedono ogni altra sua decisione.

In questa ottica, la Chiesa Cattolica, come espressione del sentimento religioso di una gran parte delle nostra società, è sicuramente una delle fonti più proprie nella discussione sui principi etici, molto più di ministri o politici, interessati più alla postura delle loro natiche che alla integrità di quelle altrui.

La Chiesa e le unioni contro natura

Penso che la particolare opposizione della Chiesa contro l’istituzione del matrimonio gay stia non tanto in motivi di ordine strettamente religioso, ma nella difesa ad oltranza dei principi di dignità dell’Uomo su cui si erge l’intera nostra civiltà, laica e cristiana. Il versetto 27 della Genesi, sul quale si fonda il principio della sacralità della vita e della natura umana, recita proprio:

Iddio  adunque  creò  l’uomo  alla  sua  immagine;

egli   lo creò   all’immagine  di  Dio;

egli li creò maschio e femmina.

La Sacra Bibbia, traduzione di Giovanni Diodati, Edizioni Ferni, Ginevra 1975, pp. 9-10.

 

Il richiamo alla dualità del sesso sta proprio nella brevità di queste righe, sulle quali si edifica il civile umano consorzio, e la Chiesa sa bene che i grandi edifici sussistono per generale coesione, mentre non si possono togliere impunemente pietre o mattoni qua e là, specie se sottratti alle fondamenta.

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