de Deo: della possibilità di pensare Dio e di parlarne

Il Fattore ed il Padre di questo universo è molto difficile trovarlo, e, trovatolo, è impossibile parlarne a tutti.

Platone, Timeo, 28c, Rusconi, Milano 1994, p. 85.

 

La trascendenza di Dio ci impedisce di pensarLo e di parlarne in modo completo e corretto. Ogni cosa che diciamo di Lui va intesa in senso figurato ed analogico.

Sull’impossibilità di dire qualche cosa  di Dio hanno scritto molti, ma quasi tutti i pensatori cristiani hanno concordato sulla possibilità della Ragione di comprenderLo, almeno in parte.

Ecco come Dante esprime l’impossibilità di ripetere con parole quello che la Grazia divina gli ha concesso di vedere contemplando Dio:

 

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio

che ‘l parlar nostro, ch’a tal vista cede,

e cede la memoria a tanto oltraggio.

   Qual è colui che somniando vede,

   che dopo il sogno la passione impressa

   rimane, e l’altro alla mente non riede,

cotal son io ché quasi tutto cessa

mia visїone, ed ancor mi distilla

nel core il dolce che nacque da essa.

   Così la neve al sol si dissigilla;

   così al vento nelle foglie levi

   si perdea la sentenza di Sibilla.

Dante, Paradiso, XXXIII, 55-65.

 

Ed ecco ciò che scrive Abelardo, prima di addentrarsi nei discorsi su Dio:

Quod nec ipsos latuit philosophos, qui notitiam dei non ratiocinando, sed bene vivendo acquirendam censebant et ad eam moribus potius quam verbis nitendum esse suadebant. Unde Socrates, ut supra meminimus, nolebat inmundos terrenis cupiditatibus animos se in divina conari et ideo purgandae bonis moribus vitae censebat instandum…

Quidquid itaque de hac altissima philosophia disseremus, umbram, non veritatem esse profitemur, et quasi similitudinem quandam, non rem.

(Ciò non sfuggì ai filosofi che ritenevano che la conoscenza di Dio si ottenesse non attraverso il ragionamento, ma con una vita degna, ed esortavano ad indirizzarsi verso di essa con i comportamenti, piuttosto che con le parole. Per cui Socrate, come sopra abbiamo ricordato, non voleva che le anime macchiate dai desideri terreni si indirizzassero verso le cose divine, e riteneva necessario purificare la vita attraverso i buoni costumi…

Dichiariamo quindi che tutto ciò che esporremo a proposito di questa altissima filosofia, non è verità, ma ombra della verità, non è la cosa ma una certa similitudine di essa.)

Abelardo, Teologia del sommo bene, 19, 27, Rusconi, Milano 1996, pp. 109, 115.

 

 

Tra coloro che difesero la possibilità della Ragione umana di avvicinarsi a Dio, voglio qui citare Anselmo d’Aosta, che, nell’anno 1076, sostiene che, poiché la nostra ragione è ciò che ci fa simili a Dio, la ragione, contemplando se stessa, comprende Dio:

LXVI – Quod per rationalem mentem maxime accedatur ad conoscendum summam essentiam.

…Patet itaque quia, sicut sola est mens rationalis inter omnes creaturas, quae ad eius investigationem assurgere valeat, ita nihilominus eadem sola est, per quam maxime ipsamet ad eiusdem inventionem proficere queat. Nam iam cognitum est, quia haec illi maxime per naturalis essentiae propinquat similitudinem. Quid igitur apertius quam quia mens rationalis quanto studiosius ad se discendum intendit, tanto efficacius ad illius cognitionem ascendit; et quanto seipsam intueri negligit, tanto ab eius speculatione descendit?

 (66- Alla conoscenza della somma essenza si accede massimamente con la mente razionale.

…E’ chiaro pertanto che, come la mente razionale è la sola, tra tutte le creature, capace di elevarsi alla ricerca dalla somma essenza, così è anche la sola per la quale essa stessa possa progredire massimamente verso la sua scoperta. E’ già noto, infatti, che la mente razionale si avvicina massimamente, per similitudine di essenza naturale, alla somma essenza. Che cosa è dunque più evidente del fatto che la mente razionale, quanto più accuratamente si volge ad apprendere se stessa, tanto più efficacemente sale alla conoscenza della somma essenza, e quanto più trascura di esaminare se stessa, tanto più discende dalla sua visione?)

Anselmo (Sant’), Monologion, LXVI, Rusconi, Milano 95, pp. 206-207.

 

La capacità della mente umana di comprendere Dio contemplando se stessa, getta nuova luce di significato sull’antico motto dell’oracolo delfico: conosci te stesso (Γνωθι Σεαντον).

Non la sola conoscenza di te stesso ti si aprirà, ma anche quella di Dio e dell’intero universo!

 

Conosci te stesso; né in sé, né nel suo contesto storico in cui è stato espresso, questo comando assoluto significa soltanto un’autoconoscenza in base alle facoltà, al carattere, alle inclinazioni dell’individuo, ma ha piuttosto il significato della conoscenza dell’uomo e della Verità in sé e per sé: significa la conoscenza dell’Essenza stessa come Spirito.

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 377, Rusconi, Milano 1996, p. 635.

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Hegel difende, contro Kant, il diritto dell’uomo di pensare e ragionare su Dio, e vede nella conoscenza che l’uomo ha di Dio una parte della conoscenza divina:

Poiché l’uomo è un essere pensante né il senso comune né la Filosofia rinunceranno mai ad elevarsi a Dio partendo e venendo fuori dalla visione empirica del mondo.

Questa elevazione non ha altro fondamento che la considerazione pensante del mondo, non la considerazione meramente sensibile ed animale. L’Essenza, la Sostanza del mondo, la sua Potenza universale e Destinazione finale, sono per il pensiero e soltanto per il pensiero.

Le prove dell’esistenza di Dio vanno considerate nient’altro che descrizioni e analisi del cammino dello spirito entro sé; cammino che è pensante e pensa il Sensibile.

L’elevazione del pensiero al di sopra del sensibile, l’oltrepassamento del finito verso l’infinito, il salto nel Sovrasensibile: tutto ciò è il pensiero stesso, questo passaggio è soltanto pensiero.

Stabilire che questo passaggio non deve essere effettuato, significa stabilire che non si debba pensare. Gli animali infatti non effettuano tale passaggio: essi si arrestano alla sensazione e all’intuizione sensibile, e, di conseguenza, non hanno nessuna religione.

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 50, Rusconi, Milano 1996, p. 173.

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“Dio è Dio solo nella misura in cui sa se stesso”, “il sapersi di Dio è inoltre (ferner) la sua autocoscienza nell’uomo ed il sapere che l’uomo ha di Dio, che procede fino al saper-si dell’uomo in Dio”

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 564, Rusconi, Milano 1996, p. 911.

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