Il settimo nome: FELICITA’

Deum habet igitur quisquis beatus est 

 

Quel grande, inconsapevole teologo che fu Aristotele coglie per primo che la Felicità, l’Eudemonia, la vita felice, cui tutti gli uomini tendono, deve necessariamente essere qualche cosa di divino; non solo egli afferma, parlando di Dio, che:

…l’atto del suo vivere è piacere…                                                          Aristotele, Metafisica, XII, 7.

 

ma si avvede che anche la Felicità umana, in quanto Fine e Principio deve provenire dalla sfera divina:

[10] Definito questo, volgiamoci ad esaminare, a proposito della felicità, se essa appartenga alle cose che sono degne di lode o piuttosto a quelle che meritano onore, poiché è evidente che non rientra certo tra le semplici potenzialità…. nessuno infatti loda la felicità come la giustizia, ma la proclama beata, in quanto è qualcosa di più divino e di più nobile. Per noi è chiaro, da quanto si è detto, [1102a] che la felicità rientra tra le cose degne di onore e perfette. Sembra che sia così anche per il fatto che essa è un principio: è in vista di essa, infatti, che tutti noi facciamo tutto il resto, e il principio e la causa dei beni noi riteniamo che sia una cosa degna d’onore e divina.

Aristotele, Etica Nicomachea, I, 12.

 

Sant’Agostino, nel De beata vita, identifica la Felicità con la partecipazione alla Sapienza divina, ma dice anche: Deum habet igitur quisquis beatus est  (4,34), chi è felice possiede Dio.

 

Chi coglie perfettamente l’identificazione Dio=Felicità è Boezio:

Dunque si deve necessariamente ammettere che Dio è la felicità stessa…la felicità e Dio sono il sommo bene; perciò è necessario che la somma felicità sia la stessa cosa che la somma Divinità… Posto che gli uomini divengono felici quando conseguono la felicità, e che la felicità è la Divinità stessa, è evidente che gli uomini divengono felici quando acquisiscono la Divinità. Ma come i giusti divengono tali acquisendo la giustizia, ed i sapienti la sapienza, così è necessario che coloro i quali hanno acquisito la Divinità divengano dei. Ogni uomo beato è dunque Dio. Per natura certo Egli è uno; ma nulla vieta che per partecipazione ve ne siano quanti si voglia.

Severino Boezio, De consolatione philosophiae, III, 10, 55-79.

 

San Tommaso, che la chiama beatitudo, vede nella Felicità il fine ultimo di ogni uomo:

Respondeo dicendum …, quod beatitudo, cum sit naturaliter ab omnibus hominibus desiderata, nominat ultimum humanae vitae finem.

Tommaso d’Aquino, Scriptum super Sententiis, IV, 49,1,1,1.

 

E, poiché, il fine dell’uomo è partecipare alla gloria divina, ecco che la beatitudine è tale partecipazione.

 

Queste considerazioni sfuggono completamente a Kant, che vede nella felicità una semplice manifestazione dell’egoismo umano e comunque dell’opinabilità degli umani desideri:

Il principio della felicità può bensì fornire massime, ma non mai tali da servire come legge della volontà, se anche si facesse oggetto la felicità universale.

Kant, Critica della Ragion pratica, scolio II.

 

Non s’avvede che l’universalità della ricerca della Felicità corrisponde all’universalità della ricerca di Dio e che, come dice ancora Tommaso, il fine ultimo è anche il fine di ogni singola azione umana.

 

Meglio di tutti si esprime Dante, che in una sola terzina ci indica le prime determinazioni sostanziali della Natura divina:

Luce intellettual, piena d’amore

amore di vero ben, pien di letizia

letizia che trascende ogni dolzore

Dante, Paradiso, XXX, 42.

 

La Felicità è quindi la settima manifestazione sostanziale di Dio che, talora, ci investe direttamente, anche in questa vita terrena.

 

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