de Deo: Teodicea

Dio, in quanto è buono, non potrebbe essere responsabile di tutti gli avvenimenti, come i più sostengono; al contrario, delle vicende umane solo una minima parte gli può essere addebitata, della maggior parte, invece, è incolpevole.

Platone, Repubblica, II, 379 C.

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Può Dio volere il male, o anche solo permetterlo?

Il tema è secolare, fu affrontato a suo tempo da S. Agostino, da Leibniz, da Hegel.

Negli ultimi decenni, però, esso è stato ripreso con particolare enfasi, specialmente da teologi protestanti, in questa forma: può Dio aver permesso Auschwitz? Ha senso parlare di Dio dopo Auschwitz?.

Questa domanda porta poi a conclusioni sconcertanti: Dio non può essere adorato, perché cattivo; Dio, se buono, non può essere onnipotente; oppure alla negazione pura e semplice dell’ esistenza di Dio.

Famosa è l’affermazione di Hans Jonas, tratta dal suo saggio Dio dopo Auschwitz:

Dopo Auschwitz possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una Divinità onnipotente o non è buona o è totalmente incomprensibile.

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Osservazioni iniziali

  • L’umanità, ed il Cristianesimo in particolare, ha visto e vissuto catastrofi ed atrocità di ogni genere: le persecuzioni, le invasioni barbariche, la peste del 1300 che sterminò due terzi degli europei, le stragi dei mongoli e dei turchi, quelle reciproche tra popolazioni cristiane, lo sterminio degli indiani d’America… eppure mai, nel suo complesso, ebbe a dubitare della bontà e dell’onnipotenza divine: siamo forse più intelligenti, più buoni, o solamente meno credenti?
  • Dal punto di vista teologico, pensare ad un Dio che vuole il male è un controsenso: non esistono un Male od un Bene sopra Dio, né in Dio: il Bene è ciò che vuole Dio e il Male è ciò che non corrisponde o si oppone al Suo volere. Pertanto è possibile solamente chiedersi perché Dio permetta il Male e come ciò avvenga se Egli è onnipotente.
  • Quando ci si domanda perché Dio permette il Male normalmente si confonde il Male con il Dolore, la Sofferenza e la Morte.
  • Parimenti si pensa che dolore e morte di più persone accrescano la quantità di Male: se le persone sono milioni il Male è immenso.

 

Prime risposte

  • Dolore, Sofferenza e Morte non sono il Male. Nostro Signore Gesù Cristo, la seconda Persona della Trinità, Dio onnipotente, ha sofferto ed è morto. Questo fatto non solo completa e perfeziona la Redenzione, completando l’umanizzazione di Dio, che senza dolore e morte non sarebbe stata completa, ma costituisce un messaggio chiarissimo da parte di Dio, una parte essenziale della Rivelazione: Dolore e Morte fanno parte della nostra esperienza umana e non sono il Male. Dobbiamo accettarli con pazienza così come Egli li ha accettati.
  • La sofferenza, al contrario, se accettata, è un mezzo di catarsi e di redenzione: Dio stesso ci ha, prima punito con la sofferenza (cacciata dall’Eden), e poi redento con il proprio dolore e morte. Se la sofferenza fosse Male dovremmo essere puniti per aver sofferto di buon grado, e premiati per aver evitato ogni sofferenza e cercato agi e piaceri.
  • La morte ed il dolore di più persone non aumentano il grado di sofferenza conseguente: ogni persona sopporta solo la propria morte ed il proprio dolore.

Inoltre, tanti quanti siamo, tutti dobbiamo morire, prima o poi; e molti muoiono anzitempo, tra sofferenze e causando sofferenza.

Pertanto non occorre aspettare Auschwitz per farsi certe domande: è sufficiente la mia morte, che prevedo, o una qualsiasi altrui, che osservo.

 

Confusione tra dolore e male secondo Kant

Kant fa giustamente osservare che il tedesco distingue più nettamente del latino il dolore fisico da quello morale, e che le due cose non vanno mai confuse.

La lingua tedesca ha la fortuna di possedere espressioni che non lasciano passare inosservata tale differenza. Per quello che i latini designano con un solo termine, bonum, essa dispone di due concetti assai diversi, insieme con le loro corrispondenti espressioni.

A bonum corrispondono das Güte [bontà] e das Wohl [benessere]; a malum, das Böse [malvagità] e das Übel (o Weh) [malessere]. …la proposizione “Noi non desideriamo nulla, se non in considerazione del nostro star bene o star male”, risulta [totalmente diversa] da  “Noi non vogliamo nulla, per indicazione della ragione, se non in quanto lo giudichiamo buono o cattivo”.

Lo star bene o lo star male indicano sempre soltanto un riferimento al nostro stato di piacere o di dispiacere…Ma il buono o il cattivo implicano in ogni caso un riferimento al volere in quanto la legge razionale lo determina a proporsi qualcosa come suo oggetto.
La volontà, infatti, non viene mai determinata immediatamente dall’oggetto e dalla sua rappresentazione; essa è una facoltà di farsi, di una regola della ragione, la causa motrice di una propria azione.

Immanuel Kant, Critica della Ragion pratica, Rusconi, Milano 1993, p. 139.

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Il dolore impedisce la felicità?

In un recente numero de Il Foglio ho letto una osservazione di Adriano Sofri che diceva: “Poiché il dolore impedisce la felicità, esso è male”. L’osservazione sembra pertinente, poiché tutti i pensatori hanno identificato nella Felicità (l’Eudemonia di Aristotele, o la Beatitudo di Tommaso) il Sommo Bene, o, perlomeno, un bene.

Penso però che l’osservazione sia superficiale: non è il dolore che impedisce la felicità, né l’assenza di dolore che la provoca. Si può essere felici anche tra i dolori, purché questi siano accettati. Pensiamo ai Santi, ai mistici, agli anacoreti…Infatti è la non accettazione del dolore che rende infelici, esattamente come un desiderio irrealizzabile, cui non si vuole rinunciare. La Felicità, come il piacere, sta invece nel raggiungimento di uno scopo, di una meta. Il vincersi, il saper accettare dolore e sofferenza è strumento di raggiungimento della felicità più efficace della fuga dinanzi a questi. Anche la nostra banale esperienza ci fa capire che ci si sente felici dopo una fatica (che assomiglia al dolore), se abbiamo raggiunto una meta ambita, come la cima di un monte, o la vittoria in una gara.

E vederai color che son contenti

nel foco, perché speran di venire,

quando che sia, alle beati genti.

Dante, Inferno, I, 118-120.

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Perché Dio permette la nostra Libertà?

  • Non esiste Male nei fatti e nelle cose: il Male esiste solo nello spirito, e consiste nella volontà contraria al disegno divino. In particolare non è male la Morte, che è solo il passaggio ad un’altra fase di esistenza (o al nulla, per chi non crede); e non lo è il Dolore, che completa l’esperienza dello Spirito.
  • Il Male, cioè la contrapposizione a Dio, è possibile perché gli Spiriti, quelli umani, ma anche quelli non umani, superiori od inferiori, sono creati liberi, né potrebbe essere altrimenti: non esiste uno spirito non libero, perché la natura dell’autocoscienza, propria degli spiriti, è di gestirsi liberamente all’interno del proprio pensiero.

.. nell’interiorità pura della volontà, l’autocoscienza è la possibilità di stabilire come principio tanto l’universale… quanto…l’arbitrio e la propria particolarità, realizzandola mediante l’azione, e di essere cattiva (böse)…L’origine del Male in generale risiede nel mistero, cioè nel tratto speculativo della Libertà.

G.F. Hegel, Lineamenti di Filosofia del Diritto, § 139,  Rusconi, Milano 1998 2, p. 265.

  • Dio non solo crea, pensandoli, spiriti liberi, ma li fa concreatori, cioè permette che la loro libertà modifichi la Sua creazione
  • Questa Libertà è parte integrante del disegno Divino, e forse della Sua stessa Natura.

 

Pertanto chiedersi perché Dio permetta il Male corrisponde a chiedersi perché Dio permette la nostra Libertà, cioè ci fa esistere così come siamo, spiriti dotati come Lui di Ragione e Libertà.

E’ forse questo che non vorremmo e che ci pesa?

Vorremmo un Dio unico e solo spettatore del suo mondo, che trascorresse l’eternità senza altri testimoni autocoscienti, senza uomini, angeli o demoni, a bearsi di un mondo perfetto, come di un magnifico carillon?

Ripeto questo concetto: senza Libertà non è possibile autocoscienza, e senza autocoscienza non esiste spirito.

Le catastrofi naturali potrebbero essere conseguenza di atti (cioè pensieri-volontà) di Spiriti superiori, angeli e demoni, ad esempio quelli preposti al funzionamento naturale nella forma di Leggi Naturali (la natura spirituale delle Leggi, può indurci a dar ragione ai medievali interpreti di Aristotele, che così traducevano le sue Intelligenze). In questo caso potremmo pensare ad atti contrari al Disegno Divino, compiuti da altri Spiriti, anche se di per sé il male nelle catastrofi naturali è visto da noi solo per la limitatezza della nostra vista.

 

Il male come non realizzazione dell’essenza

Aristotele, che su tutto ha voluto dire mirabilmente la sua, sostiene che il Bene è la realizzazione della propria essenza. D’altro canto questo non contrasta per nulla con quanto abbiamo detto: infatti, l’essenza di ogni cosa è il disegno (progetto) divino per quella cosa. Realizzare la propria essenza significa perciò conformarsi alla volontà divina, la non piena realizzazione o addirittura il sabotaggio della propria essenza è invece la non realizzazione o il contrastare la volontà divina, cioè è il Male.

L’essenza dell’Uomo è essere simile a Dio, nella Ragione, nella Libertà e nell’Amore.

La non realizzazione della nostra essenza sta proprio nei peccati contro Ragione (..che la ragion sommettono al talento..), Libertà, Amore.

Contro la nostra Ragione, nel gestire male la nostra esistenza, contro la nostra Libertà, sottomettendoci ai condizionamenti della necessità materiale, contro l’Amore, non amando Dio e la Sua Creazione.

 

Eternità dell’Inferno

Avanti a me non fuor cose create

se non etterne, ed io etterna duro.

Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate

Dante, Inferno, III, 7-9.

La sofferenza è una forma di elevazione dello Spirito, che attraverso di essa si purifica delle scorie terrene e si rende maggiormente capace di avvicinarsi a Dio e di goderne l’infinita ricchezza. La sofferenza accettata è inoltre un mezzo per accrescere la nostra capacità di controllo su quanto di materiale è in noi. Ecco perché la sofferenza è vista come forma immediata e privilegiata di espiazione della colpa. Già il pensiero pagano si rende conto di questo:

Infatti, credo…il fare ingiustizia cosa assai peggiore che riceverla, e il non scontare la pena cosa peggiore che scontarla.

…in base a quanto abbiamo ammesso, anche coloro che sfuggono alla giustizia… badano solo al dolore che essa comporta, non vedono l’utilità, e non sanno quanto sia più sciagurato vivere con un’anima non sana, ma guasta, ingiusta ed empia, che non vivere con un corpo non sano.

Platone, Gorgia, Rusconi, Milano 1998,  p. 153, 171.

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Credo dunque fermamente che le anime si precipiteranno volentieri nelle fiamme, metaforiche, del purgatorio, per sentirsi degne del contatto con Dio.

Ma l’eternità dell’Inferno sembra a molti un castigo troppo grande, un fallimento del disegno salvifico di Dio, una imperfezione nella Sua creazione.

Forse all’Inferno rimarranno solo quelli che volontariamente perseguiranno nel rifiutare Dio? Saremo noi stessi i somministratori della nostra pena?

Ma anche questo non cambia molto la cosa.

E se ne andranno questi al supplizio eterno

Matteo, 25, 46.

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Tenterò un’altra ipotesi.

Sappiamo che Dio esiste nell’Eternità, cioè in una dimensione per la quale il tempo è un eterno presente. Pertanto per Lui tutto è eternamente presente: nella realtà noumenica ogni realtà è attuale: ogni realtà è eterna. Pertanto, nella dimensione divina, noi siamo contemporaneamente Spiriti presso di Lui, prima del peccato, siamo in questo mondo, al purgatorio, in paradiso e forse all’inferno. Questo potrebbe essere il disegno salvifico, l’apocatastasi (*) di Origene, che da un lato salva l’eternità della espiazione, dall’altro l’infinita misericordia di Dio.

(*) Apocatastasi: reintegrazione alla fine dei tempi di ogni cosa creata, salvezza anche per i dannati.

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